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Migranti, i pm processano la nave che ha riportato i clandestini in Libia

Alessandro Gonzato
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 L'avvocato Danilo Risi, esponente dell'associazione nazionale Giuristi Democratici, si dice «molto soddisfatto del lavoro complicato svolto dalla procura». La procura di Napoli ha appena concluso le indagini sul comandante della nave Asso 28 e un rappresentante dell'armatore, la Augusta Offshore. È stato Risi, insieme alla collega Elena Coccia, a presentare l'esposto che ha dato il là all'inchiesta. L'esposto è stato firmato dai Giuristi ma anche dal sindaco partenopeo Luigi de Magistris e da una trentina di personalità del mondo della cultura e dello spettacolo tra cui Moni Ovadia. L'indagine fa riferimento ai fatti del 30 luglio 2018, quando, secondo l'accusa, 101 migranti soccorsi in acque internazionali sono stati caricati a bordo e ricondotti illegalmente a Tripoli. Le autorità italiane non sarebbero state coinvolte. È la prima volta che una nave privata italiana finisce a processo per una vicenda simile. Asso 28 ha soccorso i migranti (tra cui pare anche 5 donne e altrettanti minorenni) a ridosso della piattaforma petrolifera della Mellitah Oil&Gas, joint venture tra Eni e la compagnia statale libica. Da quel momento, sostiene la procura, a bordo di un rimorchiatore battente il tricolore i naufraghi erano da considerarsi sotto la giurisdizione italiana, ma l'intervento non sarebbe stato comunicato a Roma. Il comandante e il rappresentante a terra dell'armatore sono accusati di aver violato la Convenzione di Ginevra sui diritti dell'uomo e il Testo unico sull'immigrazione in vigore in Italia. Tra i capi di imputazione: abuso d'ufficio in concorso, sbarco in un porto non autorizzato e abbandono di minore. Oltre alle indagini condotte dalla capitaneria di Porto di Napoli, i magistrati hanno a disposizione i documenti audio delle conversazioni registrate dalla nave della Ong Open Arms e intercorse con Asso 28. Il contenuto è stato pubblicato dal sito di Avvenire. A bordo di Open Arms, in quel momento, c'era anche Nicola Fratoianni, deputato di Leu, ascoltato nei mesi scorsi come persona informata dei fatti. Era il periodo in cui i parlamentari della sinistra scattavano selfie sulle navi delle Ong e si collegavano coi talk-show militanti. Di questi tempi però, per scansare (comprensibilmente) il virus che prolifera sui barconi diretti verso le coste della Sicilia e della Calabria, nessuno dei "compagni" vi sale più a bordo. Veniamo agli audio diffusi dal quotidiano dei vescovi. Open Arms chiede ad Asso 28 se abbia incontrato gommoni in difficoltà lungo la rotta. La risposta è affermativa: «Sì, per l'esattezza abbiamo 101 persone a bordo. Abbiamo ricevuto l'ordine di riportarli a Tripoli». «Ok, d'accordo, potete dirci il colore del gommone che avete soccorso?». «Bianco». «Colore bianco, d'accordo, d'accordo. Avete visto altri gommoni in zona?». «Negativo». «D'accordo, grazie mille Asso 28». La conversazione termina qui. Non sappiamo se ve ne siano state altre. A questo punto, dalla barca della Ong, si sente distintamente una voce che si rivolge a una persona vicina: «Sai che cos' è questo?». Risposta: «Respingimento collettivo». Parla di nuovo il primo uomo: «Digli di cercare Asso 28 perché sicuramente ha bandiera italiana».

 

 

 

Questa la ricostruzione di Riccardo Gatti, capomissione di Open Arms: «Alla nostra richiesta di fornirci i dettagli delle posizioni ci diedero indicazioni poco chiare. Questo per farci allontanare, ma poi abbiamo capito che era successo qualcosa di strano». È stato Gatti a contattare il ponte di comando del rimorchiatore italiano, le cui risposte però, stando all'accusa, non coinciderebbero con le rilevazioni successive. Sull'episodio era intervenuta subito anche Eni smentendo seccamente di essere stata coinvolta. Le precisazioni fornite, però, per gli investigatori sono contraddittorie. La procura non crede che Asso 28 abbia ricevuto disposizioni dalle autorità libiche per dirigersi a Tripoli. La guardia costiera libica, questa la difesa della nave italiana, presidia ogni piattaforma che opera nelle sue acque territoriali, e ha gestito l'operazione di soccorso in totale autonomia. «Ora attendiamo il rinvio a giudizio», ha commentato l'avvocato Risi di Giuristi Democratici, «perché si arrivi a stabilire un principio che deve riguardare tutti i comandanti delle navi in ogni parte del mondo si trovino, affinché a bordo qualsiasi cittadino sia trattato secondo i principi del diritto italiano». La giustizia farà il proprio corso. E chissà se terrà conto che i due indagati hanno salvato la vita a 101 persone che stavano raggiungendo illegalmente il nostro Paese.

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