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Mauro Romani, il bimbo sparito nel 1977? Per la procura di Lecce oggi "è un ricco arabo"

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Giovanni Terzi
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«Dopo un anno di intenso e infaticabile lavoro, la dottoressa Stefania Mininni, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, ha chiuso le indagini relative al sequestro del piccolo Mauro Romano. Oggi, anche se di parte in quanto proveniente dalla stessa Procura della Repubblica e quindi in assenza di un dibattimento, abbiamo dopo quarantaquattro anni una verità. Mauro fu rapito per essere consegnato a due persone». Così esordisce l'avvocato Antonio La Scala che da tempo, assieme ai genitori di Mauro Romano e agli organi inquirenti, sta cercando la verità su ciò che accadde al piccolo bambino di Racale. «Fu proprio Libero, il 25 novembre del 2019 - continua l'avvocato La Scala - a raccontare e riaccendere i riflettori sulla scomparsa di Mauro Romano, il bambino scomparso in provincia di Lecce il 21 giugno 1977. 

Dal vostro articolo sono scaturite trasmissioni televisive, come "Storie Italiane" condotta da Eleonora Daniele fino a "Chi l'ha visto"». L'avvocato Antonio La Scala, dopo l'articolo di Libero, presentò immediatamente una istanza di riapertura del caso, perché qualche cosa nelle indagini precedenti non era andata nel senso giusto. Avvocato che cosa non la convinceva di come erano state condotte le indagini? «Subito compresi come le indagini fossero state frettolose, e ancor di più l'archiviazione». Perché dice indagini frettolose? «Perché, nonostante fosse stata individuata immediatamente la persona che chiamò i genitori del piccolo Mauro per chiedere un riscatto, non si proseguì su quella pista». Spesso accade che, di fatto, esistano reati di serie A e reati di serie B. In fondo, di quell'umile famiglia di Racale, in provincia di Lecce, poco importava. Per la scomparsa di quel bambino di sei anni soltanto Natale e Bianca, i suoi genitori, si sono battuti per arrivare ad una verità. Ma chi fu a prendere Mauro e portarlo su una "ape-agricola"? «Le risultanze investigative portano ad una persona precisa, conosciuta da Mauro e da tutti chiamata "zio"». Un parente quindi? «Non un consanguineo, ma un amico di famiglia, che per l'appunto veniva chiamato "zio". 

La cosa triste è che quest' uomo era stato già messo sotto osservazione quarantatré anni fa, e lo si poteva quindi fermare subito. Oggi le indagini si stanno indirizzando su che fine ha fatto Mauro: potrebbe essere stato ceduto e trovarsi all'estero o in Italia con un nome diverso». La scomparsa di Mauro Romano, fino a questo momento, rappresenta un importante fatto di cronaca a cui va aggiunto un elemento eccezionale: la riapertura delle indagini dopo più di quarant' anni e l'identificazione della persona che lo prelevò e lo allontanò dalla famiglia. Ma questa eccezionalità diventa unicità se si immagina che, con ogni probabilità, il piccolo Mauro si trova da qualche parte del mondo probabilmente vivo e, naturalmente, ignaro della propria vera identità. Ma andiamo per gradi. Esaminando le carte delle indagini, si scopre che davvero qualche cosa non ha per nulla funzionato, in questi anni di investigazione. Per carità, l'indagine sulla sparizione del piccolo Mauro Romano era intrisa di omissioni, bugie e reticenze, ma già dal principio esistevano piste investigative che potevano essere seguite con maggiore solerzia e, forse, portare a riscontri più immediati. Da una parte, come ha raccontato l'avvocato La Scala, c'era il telefonista che, già nel 1977, chiese ai genitori di Mauro un riscatto dapprima di trenta e poi di venti milioni di lire. Una persona su cui, nonostante fosse stata condannata a quattro anni per estorsione, non si indagò mai in profondità. 

Anni dopo venne nuovamente arrestato con l'accusa di pedofilia. Ma c'è di più. Un segnale importante lo diede un mafioso affiliato alla Sacra Corona Unita pugliese, il quale scrisse nel 2010 una lettera a Bianca, la mamma di Mauro, per dirle che voleva essere ascoltato dagli inquirenti: ma anche quella volta l'allora procuratore fece nulla. Soltanto adesso, nell'ultimo anno, la dottoressa Minnini ha preso in carico la volontà di parlare di quell'uomo, e la sua deposizione è risultata decisiva. D'altro canto, questo drammatico fatto di cronaca nera si arricchisce di una tinta più leggera. Era il 1999, i coniugi Romano si imbattono nella foto di un personaggio del jet-set arabo, pubblicata su un settimanale familiare. Osservano bene quell'immagine e ritengono che ci siano le condizioni perché quel giovane uomo, in compagnia di una attrice molto popolare in Italia, sia proprio il loro bambino, all'epoca scomparso già da più di vent' anni. Il motivo del riconoscimento fu dovuto a dei segni "tipici", che solo Mauro poteva avere in qualche parte del corpo. 

Quella persona era Mohamed Al Habtor, figlio di Khalaf Ahmed Habtor, uno dei tre uomini più ricchi e potenti di Dubai e, per la rivista americana Forbes del 2007, il trecentesimo uomo più ricco del mondo. Una circostanza che risvegliò la speranza in Natale e Bianca Romano, e la volontà di cercare in tutti i modi di prendere contatto con l'importante famiglia araba. Mohamed Al Habtor, che per i signori Romano sarebbe in realtà il figlio Mauro, sul giornale di cronaca rosa c'era finito per una relazione con Valeria Marini (e dopo una con Naomi Campbell) e i due erano ritratti sulla spiaggia di Dubai. Così racconto l'attrice italiana ai giornali: «Mesi fa mi ha mandato a prendermi con una bellissima Rolls Royce e mi mise a disposizione una lussuosa suite di uno dei suoi alberghi a Dubai». Ma a Mohamed - o Mauro Romano? - si legò anche un'altra bellissima donna italiana: Manuela Arcuri. 

«Sono innamorata di lui. Nell'intimità lo chiamo cucciolo. Lui, da buon arabo, è molto geloso»: così parlava al conduttore della "Vita in diretta" Michele Cucuzza. La Arcuri diceva di non temere il confronto con le precedenti "fiamme" del suo amato, come Naomi Campbell e Valeria Marini: «Sono storie finite, e poi io per Mohamed sono un'altra cosa». L'attrice sorrideva quando si parlava del meraviglioso anello che lo sceicco le aveva regalato: «Non lo metto spesso - dice - però è importante per me perché è l'anello di fidanzamento». I coniugi Romano contattarono poi il papà di Mohamed, Khalaf. Il miliardario arabo per spirito di gentilezza li invitò a Dubai, negando però che quel figlio fosse frutto di una "adozione". Tutto sembrava pronto per il viaggio e per l'incontro, quando improvvisamente quell'appuntamento saltò. Così Natale e Bianca, mai domi nel cercare il loro bambino, si rivolsero al ministero dell'Interno, che in effetti contattò il Consolato Italiano per fare istanza al Console di Dubai in modo che si potesse organizzare l'incontro. 

La risposta fu perentoria: «Non esistono appigli realistici per immaginare che il signor Mohamed sia Mauro Romano». Ma allora perché, in prima battuta, esisteva la cortese disponibilità dell'emiro per incontrare i due genitori di Mauro? E perché un'altra volta il fratello di Mauro, dopo aver parlato con Mohamed, andò a Dubai per incontrarlo, per poi essere rispedito al mittente poco prima dell'incontro? Io credo che questa storia, drammatica all'inizio e che si prolunga da oltre quarant' anni, meriti una conclusione. Ad oggi l'avvocato La Scala mi racconta: «Ritengo di non escludere che il piccolo, ora uomo di 50 anni, possa essere ancora vivo. Lo auguro alla famiglia con tutto il cuore». Aggiungo che sarebbe bello se la potente famiglia di Dubai consentisse un incontro ai genitori e magari un test del Dna, per fugare ogni dubbio ed eventualmente riprendere a cercare, ancora ed altrove ma con la medesima energia, il piccolo Mauro Romano. riproduzione riservata.

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