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Gian Domenico Caiazza, la proposta del presidente dei penalisti: "Per riformare la giustizia giudichiamo pure i giudici"

Maurizio Zottarelli
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Gian Domenico Caiazza è presidente dell'Unione delle Camere penali italiane dall'ottobre 2018. Due anni e mezzo di lotte sul tema della prescrizione e della difesa della presunzione di innocenza che, a dire il vero, giungono a compimento di oltre trent' anni di battaglie contro lo strapotere giudiziario. Caiazza, infatti, ha mosso i primi passi da avvocato partecipando alla difesa di Enzo Tortora - in particolare seguì la causa relativa alla richiesta danni per ingiusta detenzione - per poi partecipare a molte delle campagne radicali sulla tutela dei diritti costituzionali in ambito giudiziario. 

E ora, avvocato, potrebbe essere uno dei momenti più favorevoli per la tanto sospirata riforma della giustizia: un ministro super partes, fuori dai giochi politici da un lato e una magistratura sotto accusa e indebolita dai tanti scandali..

. «La magistratura è in una crisi indiscutibile, non so, però, se questo può costituire un auspicio per una riforma. Io non vorrei nemmeno ragionare in questi termini, spererei solo che questa condizione rafforzi la consapevolezza di una assoluta necessità di riformare il sistema giudiziario. L'auspicio, più che di sfruttare la situazione, è che questa possa diventare una crisi feconda».

Perfino il vicepresidente del Csm, David Ermini, ha aperto alla possibilità di fissare dei criteri per valutare il lavoro dei magistrati.

«Appunto. Il vicepresidente Ermini ha operato una apertura molto significativa verso una visione più liberale della giustizia, una prospettiva che preveda di recuperare un criterio di merito e contempli valutazioni periodiche dell'attività del magistrato. Questo è un punto chiave: un magistrato deve aver presente che le decisioni in merito alla libertà delle persone subiranno una valutazione».

 

 

 

Su questo però l'Associazione Nazionale Magistrati ha già alzato le barricate. Sostengono che una valutazione c'è già.

«Sì, c'è una valutazione quadriennale dell'attività dei magistrati, ma è una farsa, visto che secondo le statistiche si conclude con il 99,3 per cento di valutazioni positive. Un periodo di 4 o 5 anni per valutare l'attività di un magistrato mi sembra giusto, ma una valutazione vera, un bilancio statistico ci deve essere e deve pesare. Un conto è un giudice che veda ribaltare in Appello o in Cassazione il 10 per cento delle sue sentenze, ben altro è se la percentuale sale al 70 per cento. Da questo punto di vista non mi stupisce la reazione dell'Anm, ma è un segnale di debolezza».

Ma, secondo voi avvocati, quali sarebbero le priorità da perseguire per una buona riforma?

«Noi indichiamo due priorità: la necessità di intervenire sulla durata irragionevole dei procedimenti senza intaccare le garanzie difensive; e, in secondo luogo, il nodo dell'assetto ordinamentale della magistratura. Per quanto riguarda il primo punto, non c'è dubbio che i processi in Italia durino troppo, ma la soluzione non può essere quella, da sempre, contemplata dalla magistratura, di far coincidere la riduzione dei tempi con il sacrificio delle garanzie della difesa, partendo dall'assunto che il processo è troppo lungo perché ipergarantista. Il problema, semmai, sono i tempi morti che dilatano i procedimenti. Secondo noi, poi, la soluzione consiste nel favorire i riti alternativi. Nei sistemi a regime accusatorio i dibattimenti non superano il 30 per cento delle cause, da noi invece sono il 90 per cento. Una via che indichiamo è il potenziamento del rito abbreviato condizionato, dove cioè, la difesa accetta l'abbreviato a condizione, per esempio, che venga ascoltato un test chiave; un'altra è la possibilità di applicare i patteggiamenti anche ai reati con pene più alte. Poi si tratterebbe di riscrivere l'udienza preliminare: doveva fare da filtro per tutti quei processi che, fin dall'inizio, è chiaro finiranno in nulla, invece si è trasformata in una pura formalità, al punto che il 97 per cento delle udienze preliminari termina con il rinvio a giudizio. Così non serve a nulla, è un passaggio inutile e dispendioso».

Capisco, ma come si può riscrivere l’udienza preliminare?

«Si tratta di riformulare le regole del giudizio: è necessario che si approfondisca se davvero esistono elementi probanti a carico dell’accusato senza rimandare tutto alla successiva fase processuale. Ci sarebbe poi da rivedere il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e, infine, da considerare una forte depenalizzazione perché il carcere non può essere l’unica sanzione possibile».

Questo, però, confligge con un sentimento assai diffuso che chiede sanzioni e reclusione per ogni eventuale colpa.

«È vero. L'opinione pubblica è stata abituata a confondere precetti morali e precetti penali per cui qualsiasi comportamento giudicato riprovevole sembra richieda una fattispecie di reato con relativa sanzione. Il che ha portato a degli eccessi talvolta ridicoli».

 

 

 

La seconda priorità che lei indicava era il riordino dell'assetto ordinamentale della magistratura

«Tutto quanto abbiamo detto finora si incrocia con l'assetto dell'ordinamento. La gran massa dei processi pendenti è anche dovuta alla deresponsabilizzazione dei pm e dei gip che mandano a processo migliaia di persone che poi saranno assolte, tanto sanno di non dover rendere conto a nessuno del loro operato. Se, al contrario, fossero giudicati in base ai risultati statistici del loro lavoro, può essere certo che i processi si ridurrebbero subito. La responsabilizzazione è chiave della questione».

Insieme alla divisione delle carriere, immagino...

«Certo. Finché pm e giudici faranno parte della stessa struttura, dello stesso ordinamento, parteciperanno alla medesima vita associativa, avranno la stessa formazione non avremo mai una vera terzietà di giudizio. Tanto più in vicende importanti, dove magari la procura si è molto esposta».

Nel suo intervento alla Camera il ministro Cartabia in effetti ha toccato diversi dei punti sollevati da lei.

«Il ministro ha detto molte cose importanti: per cominciare ha rimesso al centro valori costituzionali quali la presunzione di non colpevolezza e la finalità rieducativa delil punto la pena, cose che non si sentivano da molto tempo. E ha anche parlato del ruolo dei riti alternativi. Più preoccupante è il riferimento alla razionalizzazione dell'accesso alle impugnazioni. Non vorremmo che si mettesse mano al diritto d'appello contro le sentenze».

Il ministro, però, ha anche detto che non intende sospendere la legge Bonafede sulla prescrizione, tema a lei molto caro

«La nostra posizione è che la riforma Bonafede abbia introdotto un principio barbaro, ovvero che il cittadino possa rimanere prigioniero del processo a tempo indeterminato».

Secondo il ministro Cartabia con la riduzione dei tempi processuali anche il problema della prescrizione si risolverà.

«Sì, ma allora perché imporre il blocco della prescrizione? Risolviamo subito la questione dei tempi processuali. Certo comprendiamo i problemi politici connessi a una maggioranza tanto eterogenea. Mettiamola così: noi siamo disponibili a riscrivere la prescrizione e a introdurre sistemi misti di prescrizione del reato e di prescrizione dell'azione penale. Ovvero, a introdurre un principio per il quale l'azione penale deve essere esercitata entro tempi definiti, altrimenti decade».

Un altro punto sollevato dal ministro è quello della riorganizzazione della macchina amministrativa.

«Il fatto è che per riformare il sistema ci vogliono i soldi. Servono denari sulle strutture amministrative, bisogna investire sul personale. Abbiamo una macchina vecchia e scalcagnata che va a tre pistoni, forse pure a due, in queste condizioni non possiamo pretendere che corra come una Ferrari. Questo non è un punto di vista opinabile, è un fatto. Speriamo nel Recovery».

Senta, parliamo della vicenda Palamara...

«Io dico che la vicenda Palamara non è solo la vicenda Palamara. Lui è stato l'interprete di un ruolo di mediazione che gli era stato affidato dal sistema. Era la persona delegata da tutta la magistratura associata a risolvere i conflitti elettivi tra le toghe. Palamara può averlo interpretato in modo più o meno spregiudicato, ma questo è un ruolo che c'è sempre stato nella magistratura e non mi stupisce per nulla ciò che ora leggiamo nero su bianco».

Non si tratta solo di gestione dei conflitti elettivi, qui in molti casi è stata stravolta la struttura democratica del Paese.

«Tutto nasce perché un potere dello Stato è diventato sproporzionato, finendo per sovrastare gli altri due. Un potere incontrollabile e irresponsabile, cioè che non risponde a nessuno dei propri atti e delle proprie scelte. Si tratta di una deformazione tutta italiana che si è creata anche a causa della debolezza della politica, basti pensare a cosa ha comportato la cancellazione dell'immunità parlamentare».

Gira e rigira, lei torna sempre sulla responsabilità

«Lo ribadisco: è il punto chiave della questione. Penso a una responsabilità professionale prima che civile per cui l'attività dei magistrati sia valutata anche attraverso i risultati ottenuti. È questo il punto da cui partire».

 

 

 

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