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Natale col saturimetro (ma la voglia di famiglia è più forte delle varianti)

 Billy Bob Thornton in "Babbo bastardo"

Con mascherino e Green Pass sotto l'albero, gli italiani fanno di tutto per ritrovarsi. Uno schiaffo al Covid

Francesco Specchia
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«Lei quest’anno cosa regala per Natale, professore?» chiede col suo sorriso elettrostatico il bravo conduttore. «Un bel saturimetro!», risponde il medico, e spacchetta in diretta, sotto l’occhio della telecamera, un misuratore d’ossigeno à la page. Un saturimetro Dio, è davvero un saturimetro. 

In effetti «mi serviva proprio un saturimetro», come si dice dei regali inutili. Ma, comunque, sempre meglio della solita cravatta riciclata o della temibile acqua di colonia della mamma che ogni anno mi rivendo su eBay.

Quando ho assistito alla suddetta scenetta ad Agorà su Raitre, col giornalista Senio Bonini che interpellava lo pneumologo Luca Richeldi sull’originalità dei doni sotto l’albero, be’, mi è stato finalmente chiaro lo spirito della natività di quest’anno. In un Natale in cui le sfighe pandemiche s’addensano come luci sull’alberello, i parametri sociali sono completamente ribaltati. Non c’è più Dickens che illumina il desco, semmai il trio Pregliasco-Bassetti-Grisanti che canta Jingle Bells. E andare al cinema è diventato un percorso penitenziale: green pass, divieto di pop corn, maschere incattivite all’ingresso e mascherine Ffp2 sopra le chirurgiche, prenotazioni lasciate al caso (l’algoritmo, implacabile, mi ha piazzato a vedere Spider-Man in seconda fila, a sala semivuota. Contrazione muscolare, lieve nausea e schiacciamento della vertebra). 

Eppoi, il tradizionale coro d’auguri dei bambini non si fa più in presa diretta a scuola; ma, causa distanziamento, diventa un video in remoto dove s’intuiscono i sorrisi sotto le mascherine. Al pranzo di Natale, convocati i parenti, i compiti sono chiari: c’è chi porta il panettone, chi i cappelletti in brodo, chi lo spumantino. E poi c’è chi –eroico- porta i tamponi infilandosi nelle code eterne delle farmacie neanche fossero quelle della borsa nera durante guerra. Molti di noi, presi da foga vaccinatoria, prendono esempio dal sindaco di Palau Francesco Giuseppe Manna uno che fa piovere multe e controlli nelle case per rispetto dell’ordinanza sul “divieto di celebrare il pranzo di Natale e il cenone di Capodanno in famiglia privi di Green Pass”, pena arresto e tre mesi di reclusione. Il controllo è probabilmente delegato a una forma di telepatia sarda. Ho un amico che, sulla scia del Manna, richiede il Green Pass anche ai figli e vieta gli abbracci tra consanguinei, sostituendoli con fugaci scambio di nocche. Sono le conseguenze del contagio massivo durante le feste. 

A proposito dei figli. I miei piccoli hanno un cattivo rapporto con Babbo Natale. Dev’essersi offeso quella volta che come regalo gli hanno chiesto due giubbottini di renna. L’unico Santa Claus che Tancredi e e Gregorio Indro approvano, è il Babbo bastardo del film di Billy Bob Thortorn, un ladro alcolizzato che andava a mignotte e rapinava le case assieme a un amico nano vestito da elfo. Gregorio Indro e Tancredi legittimano solo Gesù Bambino, ritenendo tutti gli altri Babbi impostori vestiti da semaforo e gonfi di trigliceridi. 

Quindi il loro rapporto epistolare col barbuto e le sue renne è diverso rispetto a quello dei loro coetanei romani, che nelle loro missive hanno un approccio, diciamo, sanitario: «Babbo Natale, tu hai il Green Pass?», «Te lo chiedo perché è obbligatorio», «Se ti serve ti lascio fuori dalla porta, con la mascherina e l’amuchina». Letterine che fanno tenerezza ma atterriscono al tempo stesso. Questo Natale, riconosciamolo, bascula tra il ballo del tampone e l’ordalia barbarica. Eppure, c’è un lato positivo. Mai come ora, mentre il dramma si mescola alla farsa e alle varianti, il senso di famiglia è stato così alto. L’anno scorso abbiamo vissuto il 25 dicembre in animazione sospesa: strade deserte, cinema e centri commerciali chiusi, festoni e luci dismesse. Canzoni natalizie ridotte a sottofondo di YouTube. E rapporti umani interrotti, e nonni abbandonati nelle Rsa o tramortiti dall’inedia accanto ai caloriferi, in attesa dei parenti che non arrivano mai come in quella storia di Paul Auster, Il racconto di Natale di Auggie Wren dove una vecchia signora cieca accoglieva uno sconosciuto fingendo che fosse il nipote. 

Abbiamo vissuto il passato Natale in un clima surreale, senza riuscire a condividere le nostre solitudini, senza il riverbero di un affetto, la tele accesa sull’ennesima replica di La vita è meravigliosa nelle tv locali, nell’attesa del countdown dell’ultimo dell’anno registrato da Amadeus su Raiuno. 

Quest’anno è cambiata la musica. Ci siamo riappropriati di un atavico senso della famiglia, nella convinzione di poter strappare, con le unghie e con i denti, il Natale al Covid. Sappiamo di correre pericolo, eppure siamo tutti qui, con mille accortezze, a slegare i nonni dai caloriferi e a buttarli, in scafandro e mascherine, tra le braccia di figli e nipoti. I saturimetri in regalo, in fondo, fanno parte del pacchetto...

 

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