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Covid, "troppi decessi". Quel terribile sospetto sul calcolo dei morti in Italia: cosa c'è dietro davvero?

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Melania Rizzoli
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Perché l'Italia continua a registrare così tanti decessi per Covid, rispetto a quanti se ne verificano negli altri Paesi dove i contagi sono in numero molto superiore al nostro? Perché se la circolazione virale è ugualmente elevata in molte nazioni il numero dei pazienti che decedono da noi non è confrontabile sia come quota quotidiana che come somma del totale? E perché se la maggioranza della popolazione risulta contagiata dalla variante Omicron, che sviluppa una patologia definita "benigna" e niente affatto letale, si continua a morire al ritmo di 200/250 pazienti al giorno? Ieri è stata superata la soglia psicologica dei 200mila nuovi casi (219.441), con 198 vittime. Sono questi i dati inequivocabili che vengono comunicati ogni giorno in queste settimane dalle autorità sanitarie italiane, e che invece andrebbero analizzati a dovere e indagati a fondo, per capire quali siano gli elementi che pesano e producono ancora troppi eventi negativi, ovvero bisognerebbe con urgenza verificare se è la popolazione notoriamente più anziana del nostro Paese ad incidere sui decessi, oppure la maggiore presenza di vulnerabilità della salute di chi viene contagiato per patologie associate, o peggio una diversa e colpevolmente erronea classificazione e comunicazione dei casi avversi, che inciderebbe sulle quote di mortalità non tutte effettivamente attribuibili al Covid.

 

 

 

SINTOMI LIEVI

La medicina ha immediatamente accertato che la variante Omicron che attualmente circola diffusamente in Italia è il virus con la propagazione più rapida della Storia, con la più alta contagiosità, paragonata addirittura a quella del morbillo, ma con una carica virale niente affatto esplosiva, evidente o pericolosamente patogena, nel senso che fino al 30% delle sue infezioni risultano completamente asintomatiche, a differenza delle precedenti varianti, come l'epidemia Delta per esempio, nelle quali i sintomi infettivi erano sempre presenti insieme a una sintomatologia ben precisa ed immediatamente riconoscibile. Inoltre la variante Omicron produce nei portatori una carica virale nasale e faringea elevata, che però resta ferma nelle vie aeree superiori, senza mai approfondirsi nel tessuto polmonare, quindi senza sviluppare alcuna polmonite sinciziale, che è stata la causa principale dei molti decessi nelle prime due tragiche ondate. E ancora. Le infezioni da variante Omicron sono molto più lievi, nei soggetti non cronici producono al massimo raffreddore, mal di gola e qualche linea di febbre per un giorno o due, guariscono e negativizzano il paziente in un tempo più breve che varia dai 7 ai 10 giorni, per cui si è accertato che, grazie alla massiva campagna di vaccinazione, tale virus si sta "raffreddorizzando", ovvero sta iniziando il suo adattamento all'uomo e quindi si prevede a breve che si comporti o diventi come un normale coronavirus del raffreddore. A conferma di quanto scrivo aggiungo un ulteriore elemento, a mio parere molto importante, che non viene sottolineato e diffuso come meriterebbe, e cioè che la variante Omicron che infetta i soggetti sani non vaccinati neppure con la prima dose, non sviluppa nemmeno in loro, ripeto se sani e orfani di immunità artificiale indotta dal vaccino, una patologia pericolosa per la loro salute e perla loro deficitaria presenza di anticorpi specifici antiCovid. Diversamente tale variante diventa più altamente patogena nelle persone prive di scudo vaccinale ma già malate, che hanno cioè un bagaglio di patologie acute o croniche, quali cardiopatie, ipertensione, diabete, malattie metaboliche ed obesità, tali da compromettere anche gravemente il decorso della malattia virale in senso negativo nelle terapie intensive italiane.

 

 

 

RISCHIO RIDOTTO

Quindi essendo nella maggior dei casi ridotto o eliminato il rischio di polmoniti interstiziali registrate dal primo Covid e da Delta, e considerando che la popolazione immunizzata con una o due dosi, o guarita da sei mesi, in Italia ha superato il 90%, e pur venendo meno la copertura del contagio per chi si è vaccinato da almeno 5 mesi, e il rischio di ospedalizzazione resta relativamente basso, perché si continua a morire in modo così anomalo ed elevato vista l'evidenza dei dati scientifici ed epidemiologici in atto? Questo non significa che 200mila casi positivi al giorno non rappresentino un dato di cui preoccuparsi, ma quello che risulta allarmante sono i dati dei decessi che vengono attribuiti ancora solo ed esclusivamente al Covid, perché se i contagi sono così alti e così diffusi ovunque, negli ospedali oltre ai medici e agli infermieri si contagiano sicuramente anche i pazienti più fragili ricoverati per altre patologie gravi e potenzialmente letali, che però una volta deceduti vengono classificati come morti Covid. Una conta e un calcolo che a ragione il prof Alberto Zangrillo ha definito "criminale" nella modalità, per la falsa allerta che produce e soprattutto perla erronea comunicazione di dati epidemiologici di tale importanza statistica e soprattutto umana. La scienza in questi mesi è stata fin troppo umiliata e minata da una disinformazione abbondante nei contenuti e nei principi scientifici da troppe persone diverse che si sono alternate a comunicare i propri convincimenti in disaccordo tra loro, e il Covid troppo spesso è stato affrontato con una crisi di condivisione unitaria senza precedenti, al punto da mettere in dubbio i principi scientifici che sono sempre stati e restano il fondamento della medicina e della ricerca, quelli che a fatica stanno traghettando il nostro Paese da una fase pandemica letale ad una endemica mite e senza complicanze a distanza. Una riflessione profonda su tale fenomeno mortale evidenziato diventa imperativa per calmierare il Paese e restituire la fiducia nella scienza e nelle Istituzioni ai troppi cittadini ancora smarriti, storditi, impauriti ed incerti sul loro futuro sanitario, sociale, lavorativo e personale. 

 

 

 

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