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Gas, il suicidio perfetto: cosa sta succedendo nei centri di estrazione in Italia

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Sandro Iacometti
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Avete presente il piano per raddoppiare la produzione nazionale di gas? La guerra non c'entra. A convincere il governo che fosse necessario recuperare un po' delle quote di metano italiano perse nel corso degli anni (siamo passati da circa 17 miliardi di metri cubi del 2000 ai 3,3 del 2021) era bastata l'impennata dei prezzi dell'elettricità che si era verificata lo scorso autunno. Talmente alti i livelli che da fine anno il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha iniziato ad annunciare una serie di misure per far ripartire l'estrazione dai nostri giacimenti, paralizzata negli ultimi anni dalla follia ambientalista grillina. Il piano operativo per far ripartire le trivelle ha iniziato a circolare a febbraio. Nel frattempo è esplosa pure la guerra, con tutte le conseguenze legate alle forniture di gas che conosciamo. A quel punto, nulla poteva più ostacolare la decisione. A marzo, con il decreto bollette, il governo si è dato l'obiettivo di aumentare l'estrazione di gas sul territorio italiano di 2,2 miliardi di metri cubi, che non è proprio un raddoppio ma poco ci manca.

 

 

BUROCRAZIA
In che modo? Attraverso una serie di investimenti e semplificazioni burocratiche per consentire la riapertura dei giacimenti già esistenti. Sì, perché sui 1.298 punti di estrazione presenti in Italia, principalmente in Sicilia e sulla costa Adriatica, ben 752 sono inattivi, nel senso che gli idrocarburi sono ancora lì sotto, ma nessuno li tira più fuori. In caso contrario l'Italia avrebbe come per magia 30 miliardi di metri cubi di gas in più, che è esattamente la quota che importiamo da Putin ogni anno. Ma vediamo che è successo a quei 2 miliardi abbondanti di gas promessi da Draghi e Cingolani. Ebbene, a maggio, secondo i dati ufficiali del ministero dello Sviluppo, il gas estratto in Italia è arrivato a 1,3 miliardi di metri cubi. Un bel gruzzolo? Non tanto. Si tratta del 4% in meno rispetto allo stesso periodo del 2021. Possibile? A meno che il tecnico che ha effettuato le rilevazioni non sia impazzito, sembra proprio di sì.

Ad essere impazzito, piuttosto, deve essere stato qualcuno a Palazzo Chigi, perché da una parte è stato annunciato il raddoppio della produzione di metano e dall'altra non si è messo mano al famoso Pitesai, il piano perla transizione energetica sostenibile delle aree idonee, che Cingolani ha avuto il merito di togliere dai cassetti (era stato congelato per anni dall'ex premier Conte e l'allora grillino dell'Ambiente Costa), ma non quello di renderlo compatibile con la ripartenza delle trivelle. Già, perché il piano pone tanti di quei vincoli e paletti da bloccare tutto esattamente e forse di più di quando non era in vigore. Il risultato è quello certificato in questi giorni dal Mise, la produzione non solo non è raddoppiata, ma è diminuita. Il tutto mentre il pezzo dell'elettricità, come certificato ieri dal Gestore del mercato, è arrivato ad una media di quasi 400 euro per MWh, il doppio di un mese fa ed anche il doppio del livello a cui viaggiava tra la fine dello scorso anno e l'inizio del 2022, quando il governo sosteneva l'urgenza di riattivare i pozzi.

 

 

INCOMPRENSIBILE
Può sembrare incomprensibile, ma forse lo è ancora di più quello che sta accadendo a Piombino dove nessuno vuole il rigassificatore. Non solo i comitati di quartiere, gli ambientalisti, il sindaco, mezza giunta, ma anche il governatore della toscana, il piddino Eugenio Giani, che è stato persino nominato dal governo commissario straordinario proprio per evitare che sull'infrastruttura strategica per far affluire in Italia il gas naturale liquido, essenziale per liberarsi dalla morsa di Mosca ed evitare di passare l'inverno al freddo, sorgessero intoppi o rallentamenti. La nave di Snam c'è già, ma collegarla alla terraferma e fare in modo che possa diventare operativa non è cosa che si fa dall'oggi al domani. E Cingolani negli ultimi giorni, di fronte all'ulteriore taglio delle forniture russe all'Italia e alla chiusura del Nord Stream ha fatto chiaramente capire quanto il fattore tempo per i rigassificatori sia essenziale. Eppure, di fronte alla richiesta di tenere l'imbarcazione ormeggiata 25 annidi fronte a Piombino, Giani è repentinamente passato dalla parte degli oppositori: «Come commissario posso chiedere alla popolazione un sacrificio per un periodo transitorio di non più di tre anni». Un periodo di tempo talmente breve che non permetterebbe a Snam neanche di rientrare dei soldi spesi per il collegamento del rigassificatore. Quando scatterà il razionamento, sapremo con chi prendercela.

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