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Le vere femministe non sono femministe: parla il professor Spartaco Pupo

Giorgia Meloni

Lucia Esposito
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Giorgia Meloni vince le elezioni con i voti di sette milioni e trecentomila italiani. Il tetto di cristallo - che sembrava infrangibile - è in frantumi: dopo settant'anni abbiamo una donna premier, la presidenza del Consiglio è femmina davvero, non solo nella declinazione. Ma due giorni dopo l'elezione le femministe d'Italia protestano. Perché la Meloni è donna sì, ma di destra, leader di un partito maschile anche nel nome (per le femministe, come sappiamo, il genere conta parecchio). Temono che il primo atto sarà la cancellazione della legge sull'aborto libero e sicuro. Poco importa che Giorgia Meloni non abbia mai messo in discussione la 194. Si va in piazza lo stesso. Con Spartaco Pupo, professore di Storia delle dottrine politiche dell'Università della Calabria e uno dei maggiori esperti di storia del conservatorismo occidentale, parliamo di questo paradosso delle femministe che scioperano contro la prima donna capo del governo.

Da storico della politica, come spiega questa contraddizione?
«Il femminismo contemporaneo ha trovato a suo tempo terreno fertile nelle contestazioni del '68 radicalizzandosi come strumento politico della sinistra e non più come movimento di conquista di diritti e parità. Le manifestazioni a cui abbiamo assistito in questi giorni - e a cui assisteremo ancora - sono estetiche e goliardiche, quasi delle guasconate, il riflesso di una contrapposizione partitica. Una protesta preventiva e antidemocratica».

Quando è iniziata le degenerazione del movimento femminile?
«Quando il femminismo è diventato un "ismo", come tanti altri "ismi" contemporanei. Il movimento, nato all'inizio del '900, era riuscito a modificare concretamente lo status della donna, pensiamo alle suffragette che conquistarono il diritto di voto in Inghilterra. Dal '68 in poi si è allontanato dagli obiettivi originari per ingaggiare battaglie ideologico-politiche che puntano a fare dell'uomo in quanto tale un nemico, perdendo di vista i veri problemi delle donne».

Un po' quello che è accaduto alla sinistra che si è allontanata dai bisogni della gente?
«Esattamente. Il femminismo rincorre ormai delle chimere, ha smarrito la sua stessa missione. Incapace a farsi movimento di massa, si sta esaurendo nel microcosmo del narcisismo e del materialismo più bieco. Sintomatico di questa involuzione è il fatto che le donne oggiscendono in piazza non per festeggiare la prima donna premier della storia repubblicana, come ci si aspetterebbe, ma per difendere la legge sull'aborto che nessuno ha messo in discussione. Una guerra contro un nemico, anzi una nemica, che non c'è. Ciò è esilarante».

Quali sono le conquiste più importanti del movimento femminista?
«Premesso che come ho detto, le prime femministe hanno ottenuto diritti inalienabili, le donne che nella storia si sono battute concretamente, per la rivendicazione dei valori femminili, compreso quello della specificità spirituale della femminilità, non sono mai state femministe. Eppure hanno inciso profondamente nei loro contesti».

Faccia dei nomi.
«Caterina da Siena, in pieno Medioevo, trattava con re e papi, cardinali e prelati e giudicava gli uomini senza alcun imbarazzo della condizione femminile. Elena Tarabotti, una monaca del Seicento, rivoltandosi contro la società del suo tempo, chiedeva con quale diritto l'uomo si fosse arrogato la supremazia sulla donna visto che Dio non ha mai ordinato ad Adamo di signoreggiare su Eva. Cristina di Svezia, una delle donne più colte e moderne della vita seicentesca europea, pronunciò quella che oggi sarebbe una fustigante frase sessista: "Io amo gli uomini non perché sono uomini, ma perché non sono donne". Più recentemente Malala Yousafzai a diciassette anni, ha sfidato i talebani per rivendicare il diritto all'istruzione delle pakistane».

Nessuna politica?
«Margareth Thatcher, leader della destra britannica ammirata in tutto il mondo, rese accettabile anche alle donne la sua "rivoluzione conservatrice"; Indira Gandhi, che passò dal trono al carcere per poi salire alla vetta delle gerarchie della nazione indiana; Evita Peron, che, odiata dalle femministe perché mai volle esserlo, rimane il simbolo intramontabile della femminilità in politica; la regina Elisabetta, che ha preteso la modifica delle leggi sulla successione, consentendo ai figli e alle figlie dei futuri monarchi di avere pari diritti al trono, senza con questo rinunciare al costume, alla tradizione e allo spirito della nazione britannica che essa incarnava. Le femministe di oggi, dinanzi a questi profili, sfondano porte aperte».

Lidia Ravera, comunista e femminista storica, è stata una delle poche ad accettare il voto. Ha precisato di non condividere nulla delle idee della Meloni ma di rispettarla. Poi ha posto una domanda che le giro: «Quello che vorrei capire è come mai l'unica donna che conta davvero nella politica in questo Paese è una donna di destra e non di sinistra. Perché nel centrosinistra le donne sono, ancora adesso, eterne seconde?».
«La categoria fondante del pensiero e dell'agire della sinistra è il collettivismo, il pensare e agire in gruppo, che prevale sulle istanze individuali, quindi sul talento, anche quando è femminile. La sinistra ha fatto la guerra al concetto di merito additandolo come fonte di discriminazione e diseguaglianza. Quando il partito ha messo in campo solo uomini, le donne evidentemente hanno obbedito in ossequio al vecchio imperativo per cui "il Partito ha sempre ragione". A destra, invece, l'individualismo ha permesso promozioni sul campo. Quindi, le donne di sinistra farebbero bene a prendersela con i quadri dirigenti dei loro stessi partiti, non solo del Pd ma di tutta la sinistra, capeggiata sempre e ovunque da maschi».

Adesso il Pd è alla ricerca di un leader donna, si pensa alla vicepresidente dell'Emilia Romagna Elly Schlein.
«Ecco, questo è un altro paradosso della sinistra. Da un lato, imita il modello Meloni giacché punta su un leader donna per la guida del Pd nel dopo Letta, dall'altro, la contesta nelle piazze, non accorgendosi forse che l'idea che dà agli italiani è di rincorrere affannosamente la destra, più che contrastarla».

Ma a che punto è il pensiero conservatore femminile? Non crede anche questo sia un paradosso: la destra porta donne al potere ma non esprime una corrente di pensiero al femminile?
«In Italia l'egemonia culturale della sinistra ha fatto strage anche in questo campo, e poi ha pesato molto il complesso di inferiorità che a destra si portano dietro da sempre. Tuttavia, il pensiero femminile di destra esprime personalità forti negli Stati Uniti e non solo. Penso a Gertrude Himmelfarb, Chantal Delsol, Elizabeth Fox-Genovese, una comunista che si è convertita al cattolicesimo e ha scritto sulla necessità della battaglia per i diritti della donna senza più odio preconcetto nei confronti degli uomini».

E in Italia?
«I tempi sono maturi per una primavera conservatrice. Questa affermazione della Meloni spero faccia emergere idealità nuove. La parità resta un fatto giuridico, sociale e politico, ma la diversità femminile permane nelle sue componenti biologiche, antropologiche, storiche e spirituali. È la diversità che consente alla donna di aggiungere, alla già assicurata parità nelle prestazioni tecniche, una dote esclusiva che nessuno può toglierle. Il patrimonio di questa diversità dello spirito femminile arricchisce ogni ambito della vita sociale, a cominciare da quello politico, come dimostra il crescente numero di donne leader di partito e di governo. Su questo terreno il pensiero e l'agire conservatore femminile potrebbero fiorire spontaneamente anche in Italia».

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