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Meloni a testa in giù: ecco le femministe italiane

Fausto Carioti
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Il mito di piazzale Loreto, la smania di appendere i nemici politici a testa in giù (e non solo i nemici: c'era anche Claretta Petacci, tra quei corpi) resta un marchio di fabbrica della sinistra italiana, rilanciato con l'ascesa della Meloni. Si è iniziato capovolgendo le copertine del libro Io sono Giorgia, dove è ritratta la presidente di Fdi (chi scrive trovò i volumi esposti nello scaffale all'entrata della Feltrinelli di Bologna, sotto le due torri, nel giugno del 2021, adeguatamente ribaltati: messi così da ignoti avventori, s' intende). Si è proseguito con i manifesti, gli striscioni e i manichini dedicati al premier e ai presidenti delle Camere, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. Mancava giusto il tocco femminile, ed è appena arrivato sul social network Instagram, che quanto a visibilità vale più di mille affissioni sui muri. Ha provveduto colei che su Instagram si presenta come la «femminista intersezionale» Alice Merlo, appartenente al collettivo "Non una di meno", che combatte «la violenza maschile sulle donne» e «la violenza di genere verso le persone LGBTQIPA+» (sic), e lo fa con tanta coerenza da mettere a testa in giù le donne del primo governo guidato da una donna.

 

 

L'ABORTO, NON LA DONNA

Si deve a questo gruppo di militanti l'esposizione online dei volti della Meloni, del ministro per la Famiglia Eugenia Roccella e di Maria Rachele Ruiu, fino a qualche settimana fa membro del direttivo dell'associazione Pro Vita & Famiglia e candidata (non eletta per un soffio) nelle liste di Fratelli d'Italia. Tutte rappresentate capovolte, in manifesti rosa che spiegano come la pensa chi le ha trattate così: «Una legge che glorifica la maternità come valore sociale non sarà mai una legge adatta a tutelare l'aborto» (il senso di tutto il discorso è questo: è l'aborto che va difeso, non la donna). Oppure «Non è il momento di difendere la legge 194 perché vogliamo molto più di 194»; «Bisogna smettere di invisibilizzare le soggettività trans e non binary» (la prosa è questa). In nome delle pari opportunità di essere linciati, lo stesso trattamento è riservato a due uomini: il leghista Lorenzo Fontana («Perché l'obiezione di coscienza è una forma feroce di violenza e una negazione di assistenza medica») e il senatore forzista Maurizio Gasparri, anche lui impegnato nelle battaglie in difesa della vita («Perché non voglio mai più che vengano imposti sette giorni di attesa a una persona che vuole abortire», dicono le sue aguzzine digitali, e notare il termine «persona» anziché «donna», etichetta di genere ritenuta discriminatoria persino se usata per chi è incinta). Altri manifesti e proclami digitali avvertono la Meloni: «Aspettatevi un periodo di rivoluzione e resistenza feroce». Tutto, o quasi, ripreso e condiviso dall'account nazionale di "Non una di meno", che nel mondo a sinistra del Pd è una voce di una certo peso.

 

 

 

"WOKE" ALL'ITALIANA

Questo è il clima, dunque. L'ideologia woke, nella sua versione italiana, si è fatta tutt' uno con la "resistenza" di chi vive l'esito del voto del 25 settembre come un colpo di Stato. La Rete degli studenti, l'organizzazione di sinistra che due giorni fa ha rivendicato l'occupazione del liceo romano Albertelli «in risposta alla formazione del governo più a Destra della storia della Repubblica», si presenta sulla propria home page con la scritta «Sempre dalla stessa parte, quella del3 student3», ritenendo l'uso del genere maschile e femminile un sopruso di chi pensa in modo binario. E nessuno si scompone quando simili deliri tracimano nell'odio. Come non hanno fatto notizia gli assalti alla sede di Pro Vita & Famiglia ad opera dei collettivi femministi, anch' essi rilanciati e glorificati su Internet da "Non una di meno". È il fascismo degli antifascisti, che si candida a un ruolo da protagonista nell'autunno caldo. 

 

 

 

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