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Papa Francesco perde l'ultimo dei fedelissimi: Conclave, cosa cambia

Francesco Capozza
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La morte di Benedetto XVI, avvenuta lo scorso 31 dicembre, ha distolto l’attenzione da un evento certamente più marginale ma che in Vaticano non è passato inosservato. Esattamente due giorni prima,il 29 dicembre, ha compiuto 80 anni, uscendo quindi dal novero dei partecipanti al prossimo Conclave, il cardinale Òscar Rodríguez Maradiaga: l’ultima delle “menti raffinatissime” dell’era Bergoglio. Quelle menti che hanno lavorato alacremente all’elezione di Jorge Mario Bergoglio nel Conclave del 2013 e che già in quello del 2005 avevano tentato di stoppare l’elezione di Ratzinger contrapponendogli proprio colui che riusciranno a portare sulla Cattedra di Pietro al giro successivo. Non a caso chi scrive ha definito “menti raffinatissime” il nutrito gruppo di porporati progressisti che già dalla metà degli anni ’90 aveva iniziato a riunirsi in forma carbonara per preparare la successione di Karol Wojtyla. Pochi anni prima, infatti, il magistrato antimafia Giovanni Falcone aveva definito proprio in questo modo la c.d. “Cupola”,il vertice di Cosa Nostra che ha dichiarato guerra allo Stato. Il paragone non è così insensato, perché è proprio quel gruppo di porporati che si autodefinì “Mafia di San Gallo”, con riferimento all’omonimo cantone svizzero dove dal 1995 al 2006 la combriccola si è riunita regolarmente per ragionare su come portare al vertice della Chiesa un “rivoluzionario progressista” in grado di imporre una nuova agenda al papato di Roma.

NELL’APRILE 2005
Achille Silvestrini, Carlo Maria Martini, Cormac Murphy-O’Connor, Walter Kasper, Godfried Danneels, Claudio Hummes: ecco i membri chiave di questa sorta di “Cupola” cardinalizia che, a poche ore dalla morte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile del 2005, erano già diretti a Roma dove s’incontrarono segretamente su invito di Silvestrini. L’idea che avevano perseguito da anni e che sembrava loro finalmente a portata di mano era semplice: far sì che i componenti di questa corrente ultra-progressista della Chiesa potessero mettere a frutto le loro vastissime reti di contatti per produrre ciò che gli analisti politici definirebbero “un cambio di regime”. Il programma prestabilito era quello di contrastare l’avvento di Ratzinger al Sommo pontificato e il candidato idoneo per diventare Papa al suo posto era dichiarato: Carlo Maria Martini, ex arcivescovo di Milano. Ma il progetto aveva cominciato a vacillare già un paio d’anni prima, perché il gesuita a capo della più grande diocesi del mondo aveva iniziato a manifestare un problema fisico che con il passare degli anni non poteva essere più celato: anche Martini, come Wojtyla, era affetto dal morbo di Parkinson.

Il Conclave del 2005 si aprì con un candidato fortissimo, Joseph Ratzinger, gli antagonisti, venuta meno la possibilità realistica di puntare su Martini, dovevano trovare un candidato a lui simile, che facesse parte del gruppo pur non essendone necessariamente tra i partecipanti attivi, ma che rispecchiasse totalmente il progetto indicato. E il candidato ideale era già nella mente di qualcuno. In uno degli ultimi incontri carbonari, presieduto da Silvestrini che già all’epoca era ultraottantenne e quindi impossibilitato all’accesso nella Sistina, tra un gin tonic e un sigaro cubano l’inglese Murphy-O’Connor ruppe il ghiaccio: «cosa sapete sui latino-americani?», aggiungendo, «che ne dite di Buenos Aires?» riferendosi ovviamente al cardinale titolare di quella città: Jorge Mario Bergoglio.

Al porporato gesuita sudamericano il gruppo guardava da tempo, un conservatore che negli anni si era convertito e che era ormai uno di loro da tempo, il nuovo “compagno di viaggio” che poteva tranquillamente ricoprire il ruolo di Martini. Nell’incontro a ridosso di quel Conclave i partecipanti rievocarono le parole di Bergoglio al Sinodo svoltosi nel 2001, la sua performance sulla decentralizzazione della Chiesa aveva fatto breccia, ne erano pienamente appagati. Secondo alcuni vaticanisti, prima che le porte della Sistina si chiudessero alle spalle dei 115 elettori, Silvestrini incontrò Bergoglio proponendogli, in un faccia a faccia riservato, di essere l’anti-Ratzinger. Il cardinale navigatissimo tirò fuori un foglietto, sudi esso c’erano elencati i nomi dei porporati pronti a votare l’arcivescovo argentino: erano 25. Non bastavano, la candidatura di Ratzinger partiva già con una base solidissima di almeno 50 voti e le nuove norme emanate da Giovanni Paolo II prevedevano che dopo 32 scrutini si sarebbe potuto eleggere il nuovo Papa con la semplice maggioranza assoluta. I sostenitori del cardinale tedesco erano però intenti a non demordere: avrebbero aspettato quel momento senza cedimenti. Era evidente che per gli avversari quei 25 voti non sarebbero bastati, ne occorrevano almeno altri 15 per arrivare alla fatidica soglia dei 40 che avrebbe potuto sbarrare, almeno per i primi 32 turni, la strada a Ratzinger, favorendo l’ipotesi del compromesso.


SCRUTINIO
Il risultato fu in effetti raggiunto al terzo scrutinio del 19 aprile 2005: Bergoglio ottenne 40 voti e Ratzinger 58, la maggioranza assoluta (i rimanenti suffragi si dispersero tra Martini, che non aveva ceduto una parte del suo pacchetto di preferenze, Ruini, Sodano ed altri). Fu alla fine proprio Martini, che del gruppo era quello più scettico sul collega argentino, a decidere di riversare i voti che controllava sul decano del Sacro Collegio, il nemico di una vita, pronunciando una frase profetica: «alla fine anche lui saprà stupirci». Ratzinger fu eletto allo scrutinio successivo grazie al sostegno del suo oppositore di sempre, colui che, pochi mesi prima di morire nel 2012, il Papa strinse per un’ultima volta a sé nel corso della sua visita a Milano. Martini rese l’anima a Dio senza sapere che il suo presagio stava per avverarsi: Benedetto si mostrò davvero capace di stupire il mondo rinunciando al Pontificato. Quel che accadde nel Conclave del 2013 è ormai noto, i superstiti della combriccola di San Gallo riuscirono a vincere il girone di ritorno di quella partita chiusasi a favore dei tradizionalisti 8 anni prima. Ma la domanda che dobbiamo porci giunti al tramonto del pontificato di Papa Francesco ormai reso evidente dalle condizioni fisiche e dall’età è la seguente: quali saranno le forze in campo nel prossimo Conclave? Chi saranno i kingmakers dell’ala progressista post-bergogliana dato che tutte le “menti raffinatissime” sono morte o fuori dai giochi elettorali? Perché se c’è una certezza, è che a personaggi come Martini, Silvestrini, Hummes, Murphy-O’Connor, Danneels (tutti deceduti) o Kasper e Maradiaga (ultraottantenni), Bergoglio ha fatto il grande errore di non dare degni successori in quanto a spessore politico, teologico, culturale. Francesco ha sì dato il cappello cardinalizio a moltissimi suoi seguaci, ma incomparabili a personalità che, forse inconsapevolmente, Wojtyla aveva negli anni innalzato alla massima autorità ecclesiale, rivestendoli di quella porpora tanto ambita che è l’unico mezzo per fare davvero la differenza e, soprattutto, eleggere il Papa.

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