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Rita Dalla Chiesa, "non dimentico": padre trucidato, lo schiaffo alla sinistra

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A 41 anni dalla morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, trucidato dalla mafia, la figlia Rita Dalla Chiesa punta il dito sulle responsabilità politiche dietro quella tragedia, uno dei punti drammaticamente più significativi della guerra di Cosa Nostra alle istituzioni. "Una parte della sinistra non ha mai amato mio padre - ricorda l'ex conduttrice di Forum al Giornale -, ha preferito difendere l’ideologia del brigatismo rosso, fin quando si è capito che certi estremisti andavano fermati. E mio padre c’era riuscito". "La sua morte - ricorda ancora Rita, oggi arrivata in Parlamento come deputata di Forza Italia - ha comunque riscritto la storia della lotta alla mafia, il suo 'metodo Dalla Chiesa' è servito a catturare i latitanti di Cosa nostra, da Totò Riina a Matteo Messina Denaro".

 

 

 

In vita, il generale Dalla Chiesa è stato un uomo "annientato perché ha toccato dei poteri economici, dei potentati che per un certo tipo di mentalità, romana e siciliana, colluse da sempre, non andavano toccati". Un rapporto politico assai complicato e conflittuale: "Ogni tanto me lo chiedo, dove sono seduta? Io non dimentico quanto a mio padre venne detto, 'non toccare le mie correnti, chi lo fa normalmente torna con le gambe tese o dei soldi in bocca'". Parole, inquietanti, pronunciate da Giulio Andreotti: "Lo scrisse nei diari destinati a mia madre, era un linguaggio che non lo rappresentava, non avrebbe mai potuto mentirle". 

 

 


 

La distanza con certa parte politica rimane: "Quando sono entrata in Forza Italia ho sofferto. Chi mi attaccava dall’opposizione non ha mai avuto il coraggio di dirmelo in faccia, da loro ho percepito molta freddezza, all’inizio qualcuno passava senza salutare. Mi sono sentita dire cose profondamente offensive e ingiuste, come 'suo padre si rivolterà nella tomba', 'lei sta nel partito che ha ucciso suo padre'. Li ho denunciati ai carabinieri".

 

 

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