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Venezia, mancano 4 scontrini in 5 anni: la Finanza chiude il bar

Claudia Osmetti
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Sul chiosco c’è un cartello, Google ha un banner rosso che dice “chiuso temporaneamente” e nella pagina Facebook della Gelateria da Nico, alle Fondamenta Zattere al Ponte lungo, a Venezia, campeggia un post che recita: «Buonasera a tutti. Siamo spiacenti di comunicare che l’attività chiuderà da giovedì 7 a sabato 9 settembre, compreso. Riapriremo regolarmente domenica 10. A presto». Una fisiologica mezza settimana di stop post pienone ferragostano, verrebbe da pensare. E invece no. Invece, in questa gelateria storica della Laguna, tappa (praticamente imprescindibile) dopo una scorrazzata sui canali, specie adesso che fa ancora caldo e un cono pistacchio e cioccolato è il coronamento di un pomeriggio felice, quell’avviso, che turba golosi e turisti, veneziani e stranieri, bambini e anziani, lo ha messo la Guardia di finanza. Motivo: la Gelateria da Nico non ha emesso ben quattro scontrini. In cinque anni, però: che fanno meno di un’“evasione” (se di evasione, in questo caso, si può parlare) ogni dodici mesi.

SBAGLIO MATERIALE
Benvenuti nel Paese dell’assurdo. Dove per un’estate intera non s’è fatto che fotografare conti e comande del ristorante (per poi alimentare discussioni infinite sui piattini vuoti e i toast in condivisione) e dove, meno di dieci giorni dopo, scoppia un caso che, in un mondo normale, verrebbe risolto col buonsenso.

Quello stesso buonsenso che dice: uno, che quattro scontrini di numero, in cinque anni di numero, sono (appunto) un numero talmente risicato che il non passaggio in cassa è chiaramente ascrivibile a una sbadatezza o a un sbaglio materiale (e non voluto); due, che chi froda il fisco (e c’è chi lo fa) è di sicuro qualcun altro e, forse, le Fiamme gGialle dovrebbero concentrarsi su di lui e non andare a fare le pulci a chi campa di panna montata e cialde alla vaniglia; e tre, che tutto questo can-can, spiattellato sui giornali, ripreso su internet, rimbalzato sui social, sì è un’enorme figuraccia, ma per chi l’ha messa in piedi, non per chi la sta subendo.

 

Il protagonista (suo malgrado) è Maurizio Mutti, titolare della Gelateria da Nico e rimasto, al di là del gioco di parole, “gelato” come le sue coppette. La sua attività, a Venezia, è un’istituzione e, per rendersene conto, basta vedere quelle confezioni crema e fragola con lo sfondo del canale della Giudecca. I fatti (li riporta Il Gazzettino): i militari del primo nucleo operativo metropolitano della Guardia di Finanza veneziana ricevono alcune segnalazioni, è il 2018, e iniziano a controllare. Dove per “controllare” s’intende che vanno in gelateria, alle volte pure in borghese, cioè fingendosi clienti, chiedono una vaschetta e annotano se, assieme all’affogato al caffè, dal banco allungano anche il benedetto scontrino. Per quattro volte i dipendenti di Mutti se lo pochi l’ultima scordano, giorni fa.

Dura lex sed lex, è vero: la legge parla chiaro, le transizioni commerciali devono essere registrate, tracciate, documentate. Perché sopra ci si pagano le imposte. D’accordo. Epperò qui si sta parlando di un episodio in cui «era marzo scorso», racconta il diretto interessato, «erano anche le 22.15 e, con il bar chiuso, un cliente aveva chiesto un gelato. Noi, dopo averlo avvertito che la cassa era ormai chiusa, glielo abbiamo dato»: valore dell’“evasione” due euro e cinquanta centesimi.

Oppure: «La prima volta si trattava di uno scontrino di un euro e ottanta, sempre probabile frutto di distrazione». Ma niente. I solerti (fin troppo) finanzieri devono essersi incaponiti. E ci sono tornati, alla Gelateria da Nico. Una, due, chissà quante volte. Finché alla fine han messo assieme un corposo (si fa per dire) dossier con ben (si fa ancora per dire) quattro ricevute mancanti e hanno posto i sigilli (nientemeno) a quel bar del centro per quattro giorni di fila. Uno a scontrino. Che non è nemmeno tanto quello, anche se a Venezia, in queste ore, va in scena la Mostra del cinema ed «è stato proprio un duro colpo», conferma Mutti: il guaio è che, se qualche cameriere dovesse, da adesso, sbagliarsi di nuovo, l’attività rischia una chiusura anche per due settimane.

PERDITE
«Abbiamo tre casse sul banco», spiega il titolare alla stampa veneziana, «e questa cosa ci ha colpito veramente. Non ci riteniamo evasori, abbiamo dodici, tredici dipendenti. So che, di solito, le chiusure venivano disposte in periodi meno alti rispetto a questo. Non voglio fare polemica, è andata così. Di solito fanno questi controlli quando c’è tanta coda per il gelato e, quindi, confusione. È inutile girarci attorno, si perde un fatturato importante». Pronti, via: perché (almeno) da oggi il cono è (ri)disponibile anche se, per alzare la saracinesca Mutti deve aspettare l’arrivo della Guardia di finanza: «Dovranno essere presenti loro per togliere il sigillo». Intanto, su Facebook, è scattata la solidarietà da parte della clientela: «Poi uno dice di fare impresa in Italia», commenta Fabio; «Mi hanno sempre fatto lo scontrino, anche per un caffè all’alba», conferma Francesco; «No go parole», chiosa Vania in dialetto, e non c’è bisogno della traduzione. Perché è quello che, stringi stringi, stiamo pensando tutti.

 

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