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Covid, torna l'incubo del bollettino? Strategia della tensione: chi c'è dietro la proposta

Corrado Ocone
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Il bollettino, no! Quello risparmiatecelo. Verrebbe da gridarlo forte a chi, seppure in maniera ancora velata (ma fino a quando?), mette in conto la possibilità di ripristinare quel lugubre e insignificante resoconto quotidiano dei casi e dei decessi per Covid che ha accompagnato le nostre giornate nel lungo periodo della pandemia.

«Si potrebbe valutare di ripristinare la comunicazione quotidiana dei dati dalle Regioni al Ministero, in maniera da poter tempestivamente intervenire»: così si è infatti espresso, in conclusione di una lunga dichiarazione consegnata all’Adnkronos Salute in coincidenza con l’inizio dell’anno scolastico, Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo). E di colpo ci è sembrato di ripiombare indietro di due anni, quando al primo imbrunire venivano sciorinati dagli schermi dei nostri televisori, e letti con severa gravitas, numeri che avevano l’unico scopo di metterci di malumore e rovinarci la serata. Dietro c’era tutta una retorica che richiamava ad altri bollettini, quelli di guerra, e non pochi andavano oltre nella simbologia fino a parlare di “morti sul fronte”.

 

 

 

Quel bollettino non va ripristinato non soltanto perché era basato su dati aggregati non facilmente verificabili, come è stato ampiamente dimostrato, e non solo perché era e sarebbe praticamente inutile. Non lo va soprattutto perché crea ansia nella popolazione, contribuendo a creare un clima di paura che ha reso per due anni le nostre vite difficili oltre ogni proporzione e buon senso. Oltre a ledere le nostre libertà fondamentali. Sono stati soprattutto i giovani ad essere danneggiati, nonostante che l’incidenza del virus su di loro sia stata minima rispetto a quella di altre fasce di età. Quei giovani che avrebbero bisogno di serenità per crescere psicologicamente e per formarsi alla vita. Il fatto che poi il dottor Anelli si rivolga proprio alla popolazione scolastica rende davvero preoccupanti, ai nostri occhi, le sue affermazioni.

 

LETTURA ESTREMISTICA

Come si fa, d’altronde, a denunciare da un lato l’aumento delle malattie mentali in seguito al Covid, e dall’altro a perorare il ristabilimento di uno strumento che non poco contribuisce a favorire quelle patologie ansiogene che hanno persino spinto a coniare un termine come “eco-ansia”? A ben vedere, la differenza fra l’ansia da Covid e quella da “cambiamento climatico” non è molto ampia: nell’un caso e nell’altro si dà una lettura estremistica di situazioni in corso senza badare agli effetti che sulla psiche umana possono avere le iperboli comunicative. Eravamo stati fin troppo facili profeti qualche giorno fa, al diffondersi delle prime notizie sull’aumento dei casi di una malattia oggi assolutamente meno letale rispetto a un tempo: avevamo immaginato che, con essi, si sarebbero levate alte le voci dei “nostalgici” delle restrizioni, di coloro che, non fatti edotti dall’esperienza passata, vorrebbero ripeterla anche in quegli aspetti ove è ormai comprovato che le politiche adottate fossero irrilevanti o addirittura controproducenti.

 

 

 

In effetti, tutta la dichiarazione di Anelli sembra rivolta a ritornare all’indietro in modo irriflesso: dalle mascherine usate indiscriminatamente al “distanziamento sociale”, fino all’isolamento e addirittura all’introduzione di quello strumento di controllo e sorveglianza che ferisce la coscienza di ogni autentico liberale che è stato il Green Pass. Non ci sembra peregrino leggervi anche una sottintesa critica del ministro, Orazio Schillaci, a cui si dà, in maniera rapida e formale, ragione sulla politica di apertura fin qui adottata, ma mettendolo anche, per così dire, in guardia. . «È vero che la malattia oggi sembra essere molto più benevola, nel senso che la morbilità e la mortalità sono contenute» dice infatti Anelli.


«Ma se questi valori – aggiunge - dovessero salire, chi si assume la responsabilità di non prendere provvedimenti contro la diffusione del virus?.”. E ancora, per il capo dei medici italiani, sarà «dovere del ministero della Salute intervenire laddove i dati sulla morbilità e mortalità dovessero essere tali da prevedere il ripristino dell'obbligo dell'isolamento e rendessero necessario un tracciamento dei positivi e della malattia».

 

 

 

APPROCCIO LAICO

In queste parole, viene fra l’altro fuori quella confusione di ruoli che abbiamo già visto drammaticamente all’opera in passato. L’esperto, il tecnico, lo scienziato, deve fornire i dati, preziosi senza dubbio, ma è sempre e solo la politica che deve poi decidere in base al principio della responsibilità, che è solo sua e nasce da una sintesi di considerazioni scientifiche ma anche sociali. Casomai, il problema è oggi proprio quello di una politica che, come abbiamo visto negli anni scorsi, abdica a questo suo ruolo e appiattisce le sue decisioni su quelle (sempre parziali e provvisorie per principio) degli scienziati. Crediamo che sul Covid, così come su qualsiasi altra eventuale epidemia prossima futura, occorra un approccio laico, pragmatico, serio ma non ansiogeno. Lo scopo della Commissione d’inchiesta istituita in Parlamento, a mio avviso, non dovrebbe essere punitivo o colpevolizzante. Essa dovrebbe piuttosto ricostruire la storia di questa esperienza ed evidenziare gli errori che in futuro non andrebbero mai fatti. Errare è umano, perseverare è diabolico. 

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