Cerca
Logo
Cerca
+

Hume, io censurato in ateneo per averlo citato: una battaglia di libertà

Esplora:

Spartaco Pupo
  • a
  • a
  • a

Intervengo volentieri sul giornale che da qualche tempo ospita le mie opinioni da uomo “libero”, come il nome di questa gloriosa testata. Lo faccio dopo giorni di gogna feroce, minacce, richieste di espulsione e silenzi assordanti delle istituzioni. Mi è capitato in questi annidi soffermarmi a lungo sul pensiero politico e sociale di David Hume. Sette libri tra traduzioni di saggi e monografie, di cui due in inglese, oltre una decina di articoli su riviste scientifiche. Ho tenuto lezioni e conferenze su Hume in varie università italiane e straniere, tra cui Glasgow, Cambridge, Londra e Budapest, quale esperto del pensiero di un autore che ho scoperto essere il vero padre del liberal-conservatorismo moderno. Ma è bastato citarne un aforisma su Facebook per farne oggetto di inquisizione ideologica, peraltro in una terra come la Calabria, in cui ci sarebbe ben altro di cui occuparsi.

8 MARZO
Mi sono permesso di fare quello che milioni di utenti social hanno fatto l’8 marzo: formulare gli auguri alle donne. Alla classica icona della mimosa, ho preferito un pensiero tratto dai saggi di Hume sulla cavalleria e la galanteria, da me tradotti e raccolti in un volumetto del 2018, in cui lo scozzese raccomandava ai suoi contemporanei settecenteschi di usare con le donne tutta la riverenza e la comprensione possibile per non comportarsi come i popoli barbari, che in quel tempo ostentavano la superiorità fisica maschile per segregare, picchiare e uccidere le donne. 

 

 



Mai potevo immaginare di suscitare l’indignazione di un gruppetto social di leonesse da tastiera, tra cui qualche collega di ateneo, pronte a sputare odio contro la mia persona e la memoria di Hume. Quello che fino all’altro giorno era un gigante della cultura settecentesca è oggi un simbolo del “patriarcato”, e io che lo cito, un retrogrado misogino. Da studioso esperto di Hume a “individuo pericoloso” è un attimo. Dallo “shitstorm” alla delazione è un altro attimo. In ateneo ci sono uffici preposti alla ricezione di “segnalazioni” così solerti che nel giro di qualche minuto, di sabato pomeriggio, quando gli uffici sono chiusi, riescono nell’impossibile. C’è l’urgenza di far cancellare al più presto il vergognoso post del prof. Pupo. Una mail parte dall’Ufficio della Consigliera di Fiducia dell’Università, scritto proprio così, con le maiuscole, quasi a volerne santificare il potere censorio. I termini sono perentori come quelli con cui la eka, il corpo di polizia politica sovietico, annichiliva i nemici del regime. Mi si ordina di “rimuovere l’intero post”, giudicato in contrasto con il “Codice di Condotta di Ateneo”. Con un semplice clic si fa carta straccia della Costituzione, della libertà di opinione, del diritto di un professore a pensare e ad esprimersi, peraltro sanciti dallo stesso Codice di Condotta richiamato nell’intimazione formale. Quello che mi si contesta in quella mail ha dell’incredibile: la mia mancata presa di distanza da una frase tratta da un libro da me tradotto e curato. In pratica dovrei censurare me stesso!

Una vera e propria limitazione della libertà accademica, peraltro imposta da persona esterna all’università, chiamata, in questo caso, a “purgare” il pensiero, l’azione e la condotta di un professore. E in nome di che cosa? Di una retorica pseudo-progressista che con il pretesto della lotta al sessismo, del rispetto e dell’inclusione, impone un becero conformismo altamente lesivo della libertà di pensiero.

CHIARIMENTO
Il post è rimasto dov’era. Non sono il tipo che si allinea facilmente. Considero l’inquisizione, la censura politica e il rogo dei libri scene dei momenti più bui della storia, che non dovranno più ripetersi. È questo che dovremmo tutti insegnare ai nostri giovani, anziché aiutarli a costruire mostri che non esistono. A nulla è sinora valsa la mia disponibilità a un chiarimento in sede istituzionale. Chi ha deciso che quello che studio e divulgo è discriminatorio e offensivo? E con quale autorità? Domande legittime, a cui nessuno, finora, ha dato risposta. Ma che sono il segno di una deriva, peraltro generale, contro cui vale la pena combattere con le armi della cultura.

 

 

Dai blog