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Scuola, i prof ideologizzati avvelenano il clima

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Daniele Capezzone
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Va bene (si fa per dire), con una goccia di veleno al giorno ci siamo pressoché mitridatizzati rispetto a una cronaca ormai quotidiana: collettivi di sinistra che occupano e assaltano le università, professori in cerca di protagonismo mediatico che alzano costantemente l’asticella della provocazione, un clima di prepotenza e criminalizzazione di ogni idea non gradita alimentato – per paradosso – proprio da coloro che amano descriversi come difensori progressisti di ogni “diversità”. Ecco, è il momento di dire in particolare ai professori indottrinatori seriali, ai vecchi e nuovi cattivi maestri (aspiranti e wannabe), che hanno stancato, che hanno tirato troppo la corda, che hanno esacerbato il clima, che esiste un’Italia maggioritaria e silenziata – ben più che silenziosa – che è semplicemente stufa di questi eccessi, peraltro lontanissimi dal vibrante e aperto dibattito culturale di cui il nostro paese avrebbe massimamente bisogno.

Verrebbe da dire – televisivamente parlando – che è l’ora di “spostare la telecamera”. Da troppo tempo, a furia di dar voce a capetti studenteschi (di sinistra) e a professorini politicamente corretti (di sinistra pure loro: chi rosso antico, chi rosé, chi arancio, chi fucsia, ma non sono previste altre tonalità cromatiche), l’interminabile e ossessiva carrellata mediatica in corso sta clamorosamente ignorando tre soggetti assai significativi. Primo: il grosso degli studenti italiani che da decenni devono fare i conti con un indottrinamento di sinistra a senso unico. Dai libri di testo ai “professori e professoresse democratiche” (non a caso oggetto di periodica esaltazione da parte dai quotidiani progressisti), le nostre ragazze e i nostri ragazzi sono sottoposti da oltre mezzo secolo a una sollecitazione politica costante, massiccia e unidirezionale. Si può sperare che il virus stimoli la produzione degli anticorpi, e che molti reagiscano: ma è davvero triste doversi aggrappare a questo genere di auspici.

 

 

 

GENITORI DIMENTICATI

La seconda categoria dimenticata è quella dei genitori che assistono ogni giorno a questo processo di indottrinamento. Per carità: non mancano le famiglie che pensano di aver semplicemente “parcheggiato” a scuola i propri figli, così come quelle che, per difendere i loro pargoli, tendono a sottrarli alle prove difficili, indirizzandoli in ultima analisi verso una sconfortante mediocrità. Ma c’è pure un gran numero di genitori (crediamo, maggioritario) che hanno affidato con fiducia i loro ragazzi alla scuola, e soffrono maledettamente nello scoprire quanto siano pervasive e sistematiche le sollecitazioni politiche faziose a cui i loro figli sono sottoposti.

La terza categoria (il cerchio si allarga sempre di più) è quella della maggioranza degli italiani, tutti quelli che non votano a sinistra. E che semmai si ritrovano nella sgradevolissima condizione di essere trattati nei giorni pari come finanziatori (con le loro tasse) di un apparato educativo partigiano, e nei giorni dispari come soggetti da rieducare, di volta in volta bollati come razzisti-populisti-fascisti. Cosa è richiesto dall’intellettualità progressista a questa abbondante mezza Italia? Di pagare per finanziare il carrozzone, e poi di vergognarsi.

 

 

 

PROVOCAZIONE

Ecco, è su queste tre categorie che suggeriremmo di spostare la telecamera. È infatti in corso qualcosa che i media tradizionali non percepiscono come insidia (anche perché ne sono essi stessi coautori), ma che mezza Italia avverte come una provocazione ai limiti della tollerabilità. Che intendo dire? Mi pare che siamo al centro di un esperimento di particolare aggressività. Il centrodestra ha stravinto ogni tipo di elezione, eppure i suoi elettori sono trattati da stranieri in patria:offesi al Festival di Sanremo, provocati quotidianamente in tv, ostracizzati nelle manifestazioni culturali a sovvenzione statale. Come si fa a non vedere questo attacco concentrico contro la maggioranza degli italiani, “colpevoli” di pensare ciò che pensano e di essere ciò che sono? Questa è stata ed è ancora la posta in gioco, ben più del dibattito intorno alla singola polemica di giornata.

Voglio dirlo in modo che ad alcuni apparirà provocatorio: siamo in presenza di quello che si potrebbe definire un comprehensive assault, un’aggressione simultanea e da tutti i lati. Svelo la citazione: si tratta di un’espressione usata da Donald Trump nel suo controverso discorso del 6 gennaio 2021 davanti a Capitol Hill (intervento più demonizzato che letto o ascoltato). Intendiamoci bene: Trump ebbe il gravissimo torto di non comprendere l’esito possibile di quella manifestazione e il danno devastante che ne sarebbe derivato in primo luogo per lui. Ma prima che tutto degenerasse (anche per sua incancellabile responsabilità politica), l’allora presidente pronunciò parole che è difficile contestare. Sulle principali tv (definite Fake news media: «Sono il più grande problema che abbiamo» disse); sui social («Ti oscurano e ti mettono in blacklist»); e per l’appunto su un comprehensive assault, un “attacco complessivo” in corso contro la libertà, dalla cultura alla scuola, passando ovviamente per i media tradizionali.

Molti si scandalizzeranno, ma a mio avviso non c’è descrizione migliore, più precisa e fotografica, del senso di indottrinamento e di oppressione che è sperimentato anche al di qua dell’Atlantico, precisamente da milioni di italiani, ogni singolo giorno della loro vita. Leggendo i giornali, guardando la tv, ascoltando gli intellettuali a cui sono garantiti palchi-tribune-microfoni-cattedre, sentendo dai propri figli l’eco delle lezioni impartite ogni mattina nelle nostre scuole. Sarà bene che anche il centrodestra acquisisca la consapevolezza del livello della sfida, e che le teste più lucide della sinistra comprendano che non è mai una buona idea provocare la maggioranza degli elettori.

 

 

 

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