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Tecnocrazia e pensiero debole: distrutta la cultura, i post-sessantottini si sono fatti servi dei nuovi poteri

Corrado Ocone
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Cosa è successo alle nostre Università? Come si è potuto arrivare a tanto? Fa piacere che anche molti illustri commentatori, finora distratti, si stiano cominciando a porre queste domande. Gli episodi di censura e intolleranza, che vedono impegnati attivamente aggressive minoranze di studenti e docenti ormai non si contano più, dall’una o dall’altra parte dell’Atlantico, come Libero documenta ampiamente quasi ogni giorno.

Forse non è irrilevante cominciare a fare un po’ di storia di questo vero e proprio regresso verso la barbarie. Più che il Sessantotto, a mio avviso è la sua eredità a dover essere messa sul banco degli accusati.

Come è noto, venute meno le velleità rivoluzionarie, diventati adulti, i suoi protagonisti si integrarono facilmente in quella società tradizionale che avevano contestato. Lo fecero con diverse modalità, anzi soprattutto con due: sconfessando i loro fervori giovanili e diventando più realisti del re, quindi aderendo al “sistema” acriticamente; oppure, trasformando la rivoluzione da sociale a culturale, impegnandosi cioè a lavorare sulle mentalità e non sui rapporti sociali vigenti (dei quali tutto sommato erano beneficiari).

 

 

A CACCIA DI SKILLS - Fattisi classe dirigente, preso il posto dei vecchi professori nelle università ove avevano operato, quei giovani abbracciarono due ideologie particolarmente forti: l’aziendalismo, secondo cui fine dell’università è non trasmettere cultura e formare in questo modo personalità libere, ma sviluppare skills, cioè competenze, capacità pratiche utili al processo di razionalizzazione in corso nel mondo della produzione; il postmodernismo o “pensiero debole”, che contestava in toto tutta la tradizione occidentale che riteneva aggressiva, imperialista, fallocratica.

Ovviamente, il centro propulsore di questa “rivoluzione culturale” furono gli Stati Uniti, i quali non da oggi fanno da battistrada rispetto a mode e costumi di tutto il mondo occidentale. I guru, spesso autoproclamatisi tali, del management, da una parte, i maldigeriti teorici del post-strutturalismo e del decostruzionismo francese, dall’altro, assalirono pertanto, negli ultimi lustri del secolo scorso, la cittadella ideale della cultura mondiale, proprio a cominciare dalle più prestigiose università americane (quelle della cosiddetta “Ivy League”, ove quel Paese forma da sempre la sua classe dirigente).

La penetrazione della French Theory nelle università d’oltreoceano è impressionante, per rapidità ed intensità, ed è stata anche ripercorsa in libri storici di acclarata scientificità. L’idea che ne stava alla base era quella di decostruire, cioè di smontare, ad uno ad uno tutti gli assi portanti del pensiero occidentale, per mostrarne il carattere ideologico o sovrastrutturale, ipocritamente teso a mascherare la violenza di cui l’uomo bianco sarebbe per sua natura portatore. Quel metodo genealogico che Michel Foucault e Jacques Derrida avevano utilizzato dopo tutto con molta accortezza, e con indubbio rigore, divenne in mano ai loro allievi un pensiero talmente “radicale” da rendere impossibile qualsiasi affermazione in positivo, comprese quelle tese a salvaguardare le nostre comuni libertà.

 

 

MEZZI SENZA FINE - Una deriva nichilistica che annullava lo spirito critico e sfociava nel relativismo e nel nichilismo, lasciando libero spazio a quella scienza dei mezzi senza fine che era diventata la cultura razionalistica e manageriale. L’attuale esaltazione, anche in sede di Unione Europea, delle cosiddette discipline Stem a discapito di quelle non a caso chiamate umanistiche, si colloca in questo contesto. Un individuo che esce dall’università con tutte le competenze possibili, iperspecializzato ma incapace di avere una visione sul tutto e di fare delle scelte responsabili, non è forse una semplice “pedina” di un “sistema” più grande che tiene in mano la sua vita?

In sostanza, le due derive della cultura postsessantottina hanno finito per darsi la mano. Abbandonato, anzi distrutto, il sentiero della cultura classica e della civiltà liberale, di cui le università erano il pilastro, i contestatori del “sistema” e i loro figli sono diventati marionette di un più ampio e pervasivo “sistema”. In nome della lotte all’oppressione, stanno provando a distruggere l’unica libertà che esiste, quella liberale rendendosi pronti ad accettare tutte le nuove servitù. Servi volontari. 

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