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L'aborto vissuto e raccontato da una trentenne come una storiella all'ora dell'aperitivo

Ginevra Leganza
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«Quando non sei nata», titolava ieri La Stampa con tanto di occhiello. «Storia di un aborto vissuto senza dolore... Come ogni fatto della vita...». L’articolo era a firma Sciandivasci. Il fatto della vita era appunto l’aborto. Forse il suo, di Simonetta. O forse no. Difficile a dirsi, in un primo momento, visto che la brillante giornalista lucana usa la prima persona sempre (anche quando racconta cose carine ma trascurabili; anche se – supponiamo – racconti della vita d’un altro, o magari d’un’altra). Difficile a dirsi sino al fatidico tweet: «Ho raccontato il mio aborto». E vabbè.

 


Cattivi noi ad aver dubitato – leggendo La Stampa – che pure l’aborto fosse autofiction! Ma l’attenuante è che Sciandivasci usa la prima persona sempre. E sempre nel solco delle giornaliste prese per le caviglie dalla smania di raccontarci le vite loro (benché siano, le suddette vite, molto più simili a quella d’una fonista o a quella di ciascuna di noi che non alla vita di Marella Agnelli), Simonetta ci raccontava ieri l’aborto. A questo punto il suo. Ed ecco la storia d’una trentenne che s’accorge d’essere incinta, che della scoperta non dice niente a nessuno, figurarsi al padre (ops, al possessore del gamete maschile), che della gravidanza non è «felice né infelice» e che, alla fine, va in ospedale. Una trentenne con tutti i tic delle trentenni, s’intende. E dunque: l’indifferenza scambiata per leggerezza («io non so scegliere»); il tic del cosmopolitismo finto (possessore del gamete è un emigrato a Londra con la chitarra); e ancora il tic del paesanismo vero (ha l’ossessione per la laurea anche mentre abortisce: «La dottoressa che si è presa cura di me il giorno che non sei nata era un’infermiera e io l’ho chiamata dottoressa... per me lo era eccome»).

 

NESSUN DOLORE «Tutti i tic delle trentenni compreso quello di fare dramma d’ogni nonnulla per poi planare, con leggerezza, sul tema aborto. Perché dell’aborto, oggi, si deve gioire sempre. E dell’aborto, oggi, tocca dire che è «un fatto della vita». Un fatto come un altro che certo non pone in conflitto vita e morte... Che certo non chiama in causa la morale, la cultura, il senso del tragico e del peccato (che se pure non è reato – grazie a Dio – resta ancora un problema aperto)... L’aborto non è quel fatto che, come scrive Tugdual Derville, «riunisce i due mali della società occidentale: la solitudine delle madri e lo smarrimento dei padri». E non è, come ancora ricorda Lucetta Scaraffia, un dramma da tutelare che se però diventa “diritto” rischia di fondare la nostra vita sulla stessa morte. No. Niente di tutto questo. Perché l’aborto, oggi, ci spiega il titolista de La Stampa anche meglio di Sciandivasci, è una cosa come un’altra. Una cosa che si vive «senza dolore». Un fatto che dunque non suscita più le diatribe di Oriana Fallaci, sulla cui Lettera a un bambino mai nato ci sarà quasi capitato di piangere per quel senso di appassionata e dolorosa libertà femminile (altro che «senza dolore»!).

 


VIA IL DENTE, VIA... L’aborto, oggi, è un fatto come un altro. Un fastidio che, come un prurito, si risolve in fretta. Grattandolo via dalla nostra vita. Ed eccolo, dunque, questo enorme fatto morale (e culturale) che giustamente si dà in pasto ai talk e a Twitter. Che nondimeno si liquida con una pagina come quella che ci è capitata sotto gli occhi ieri. Una pagina strappata dal diario di una post adolescente brillante e riappiccicata poi sul giornale. Riappiccicata nientemeno che su La Stampa, e vabbè. In ogni caso, salvando il salvabile, per quanto noi crediamo che il tema esigerebbe se non il pensiero forte perlomeno il decoro, Simonetta – che pure racconta di aver «scopato» (sic) appena dopo l’intervento – nell’articolo si rivolge sempre e comunque a una bambina. A un embrione che avrebbe chiamato con un nome lunghissimo: Elsa Maristella Elisa Lalage Prisca Anna Olga. Dimostrando che non è esattamente un “grumo di cellule” a suscitarle indifferenza. Ma un essere umano, talmente umano, che non avrebbe saputo come chiamare. Un essere umano – troppo umano – che è quasi meglio grattarlo via. Oriana Fallaci cercasi.

 

 

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