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Ecologisti e Tar bloccano il telescopio salva-Terra

Claudia Osmetti
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 Il dispositivo vero e proprio lo stanno assembrando a Matera, in Basilicata. La cupola dell’osservatorio la stanno costruendo a Mira, nel Veneziano. Epperò lassù, a circa 1.800 metri, sul monte Mufara, nella dorsale delle Madonie siciliane, è tutto fermo. Il cantiere per il super-telescopio dell’Esa, al secolo l’Agenzia spaziale europea, doveva aprire i battenti venerdì mattina a mezzodì, ma non si è mosso nemmeno un mattone perché di mezzo ci si son messi gli ambientalisti (prima) e il tar (dopo, quantomeno in via precauzionale).

Niente inaugurazione, insomma: al suo posto un decreto del tribunale amministrativo che ha sospeso i lavori fino al 24 settembre, cioè fino al giorno della prossima udienza. Tutta colpa di un ricorso presentato da Wwf, Legambiente e Cai, Lipu, Italia nostra e altre sigle del mondo “green”: il punto, dicono loro, è che il Parco delle Madonie è una zona naturale soggetta a un vincolo assoluto di tutela integrale (lì, cioè, non si potrebbe spostare manco un sasso).

 

 

 

E la spiegazione, invece, è che quel vincolo assoluto c’era, sì, ma è caduto con il decreto Asset del 2023 che ha bollato come «di rilevanza strategica» tutti gli osservatori astronomici finanziati dall’Esa.
Per capirci qualcosa, quindi, e anche per approfondire la situazione perché non si tratta di una bazzecola (il pericolo è di farsi “scippare” il progetto dalla Spagna, ma ci arriviamo), il tar sta acquisendo la documentazione del caso e, nel mentre, prende tempo: col risultato che i primi operai, se tutto va bene, attorno a ‘sto benedetto super-telescopio arriveranno solo a fine mese.

Tra l’altro, la sua realizzazione, con l’ecologia diciamo “cosmica”, ha a che fare eccome: ma non nel senso che i “verdi terresti” intendono: quel super-telescopio, infatti, servirà a proteggere il nostro pianeta dalle collisioni con gli asteroidi e le comete (aperta parentesi: sarebbe anche il primo di una rete di allerta comunitaria del genere, e il fatto che sia made-in-Italy dovrebbe darci un tantinello di orgoglio, chiusa parentesi) e persino dagli impatti con la spazzatura spaziale, ossia con tutti quei detriti creati dall’uomo che abbiamo abbandonato in orbita e che ci girano, letteralmente, sulla testa.

Solo che al momento resta tutto in attesa. E dire che quella è un’opera da dodici milioni di euro, che è stato scelto il monte Mufara perché è il punto più alto europeo con meno inquinamento luminoso nelle vicinanze e che il monitoraggio di (non solo, la società veneta Eie group, quella coinvolta, ha progettato una tecnologia che è addirittura in grado di intercettare) quello che ci fluttua attorno oltre l’atmosfera non è un vezzo da astrologi consumati, risponde semmai a una chiara esigenza di difesa “planetaria” sulla quale non è necessario scomodare la strage dei dinosauri di 66 milioni di anni fa, ma basta andare parecchio più sul recente, per esempio al 2013 quando un asteroide ha colpito la cittadina russa di Chelyabinsk distruggendo in una volta sola 7.200 edifici e ferendo quasi 1.500 persone.

 

 

 

Per questo il super-telescopio sulle Madonie sarebbe un «importante investimento», ha spiegato il ministro delle Imprese Adolfo Urso, «che posiziona l’Italia come leader nel settore spaziale a livello globale, quando sembrava oramai compromesso per i ritardi autorizzativi e spostato ad altra sede. Ora confidiamo che la giustizia amministrativa confermi questo interesse strategico anche a tutela della credibilità internazionale del nostro Paese».

L’alternativa, che ha visto persino un sopralluogo preventivo, è quella di spostare armi e bagagli alle isole Canarie (dove esistono già altri osservatori importanti, come quello del Roque de los Muchachos a La Palma): ma vorrebbe dire, ci siamo arrivati, trasferire, oltre alle competenze, anche posti di lavoro e prestigio internazionale. Non vale la pena rischiare.
 

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