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"La cucina bengalese ci intossica". E il Comune vieta gli odori

di Simone Di Meovenerdì 9 maggio 2025
"La cucina bengalese ci intossica". E il Comune vieta gli odori

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In piazza De Martino, a Palma Campania, non si discute più di traffico odi calcio: il tema preferito è il “profumo” che si diffonde nell'aria, e non certo quello di primavera. Da un paio di giorni, la cittadina vesuviana combatte a colpi di multe (fino a 500 euro) i «miasmi etnici» che esalano da pentole bengalesi troppo generose con il garam masala e altri intrugli della cucina asiatica.

Così è nata l’ordinanza antiodore firmata dal sindaco Nello Donnarumma, immediatamente ribattezzata la «guerra delle narici» dai residenti con il fazzoletto schiacciato sulla faccia. Il provvedimento è operativamente semplice: la polizia locale sarà chiamata a pattugliare i vicoli del centro storico «a naso». Per ora mancano gli strumenti tecnici, ma c’è il vigile annusatore, in compenso, eroe civico con olfatto allenato alle emissioni di fritti e coriandolo fuori norma. In Comune promettono peraltro l’acquisto di un «e-nose», confermando che il fiuto di Stato può andar bene per i primi tempi, ma poi bisognerà cedere alla tecnologia. Nel mirino dei caschi bianchi ci saranno gastronomie regolari e mense improvvisate dentro appartamenti sovraffollati dove vengono serviti i pasti agli operai bengalesi che lavorano nell'hinterland. Una vera e propria “caccia al curry” che mira a spegnere l’aroma prima ancora che la padella finisca di sfrigolare. Il contesto tuttavia spiega, al di là delle note di colore, l’irritazione sociale che si vive in città. Su 20mila residenti, oltre 4mila arrivano dal Bangladesh, tra ufficiali e clandestini: una concentrazione record che ha regalato alla cittadina vesuviana il soprannome “Bangla Campania”. E, con la comunità asiatica, sono arrivate spezie, odori forti e - parola dei vicini - “fragranze sospette” soprattutto all’ora di pranzo e cena.

L’obiettivo dichiarato è la qualità della vita oltre che dell'aria. Leggendo l'ordinanza del sindaco, è chiaro che non si vuole criminalizzare la cucina etnica; si pretende solo che resti confinata ai fornelli professionali, con cappe filtranti e licenze in regola. È una lotta alla “spezia criminale”, certo, ma con retrogusto assai pragmatico: niente piatti proibiti per una serena convivenza multietnica. Facile umorismo? Tutt'altro: dietro l'attenzione del Municipio per la comunità bengalese c’è anche e soprattutto un problema di igiene che ormai è diventato critico. Case con dieci letti per stanza, canaline unte, scarichi improvvisati e condizioni di soggiorno impossibili sono scene di ordinaria amministrazione da queste parti. Il sindaco lo ricorda da anni e, prima di dichiarare l'avvio dell'operazione “Naso Pulito”, aveva già dato segnali inequivocabili di una presa di posizione netta sul tema dell'immigrazione incontrollata che tanto piace alla sinistra. Donnarumma ha fatto sgomberare alloggi fatiscenti, imposto test d’italiano a quanti avanzano la richiesta di residenza, promesso tasse zero a chi, investendo nel centro storico, avrebbe contribuito a ridurre la presenza di commercianti e inquilini bengalesi. Qualche anno fa, inoltre, il sindaco decise di proibire la preghiera islamica in piazza per evidenti criticità di ordine pubblico.


Tutti aspetti che son sfuggiti ai deputati dem Arturo Scotto e Marco Sarracino che hanno attaccato la fascia tricolore parlando di provvedimento «ridicolo» e di una «buffonata» e accusando Donnarumma di distogliere l’attenzione dai veri problemi che affliggono i cittadini. «Che facciamo, bandiamo anche la genovese o il ragù perché emanano un odore troppo forte?», hanno ironizzato i due parlamentari ignorando, però, che diversi locali a Napoli sono stati chiusi, negli anni, per i miasmi provocati dalle cucine e dalle canne fumarie fuori norma, come previsto dal regolamento comunale e dal codice civile. Spiega a “Libero” il sindaco Donnarumma: «Abbiamo emanato quest'ordinanza alla luce delle decine e decine di segnalazioni che ci sono arrivate. Ci son persino persone che si sono sentite male per questi odori molesti». E aggiunge: «Chi legge in chiave razzista il nostro intervento è in malafede, anzi si tratta di una scelta che integra invece di dividere perché spieghiamo e insegniamo, a quanti lo ignorano, che non si può cucinare a tutte le ore del giorno e della notte in maniera così persistente e che vanno rispettati i diritti di ciascuno». Soprattutto di chi non vuole essere svegliato dalla puzza di cipolla alle 6 del mattino. Dunque, occhio alla “fragranza” di reato.