E se Alberto Stasi fosse ufficialmente dichiarato innocente? Se l’inchiesta bis sul caso Garlasco portasse a una verità processuale ribaltata rispetto alla condanna a 16 anni di carcere decisa nel 2015? Se si aprisse davanti alla Corte d’appello di Brescia la revisione del processo sull’omicidio di Chiara Poggi, che cosa succederebbe? E se poi Stasi, che al momento è rinchiuso nel carcere di Bollate e può uscire solo durante il giorno, dovesse venire assolto? Se chiedesse un risarcimento, se glielo accordassero, se lo quantificassero: quanto sarebbe alto?
Non ci sono solo i dubbi, nel faldone riaperto della procura di Pavia. Non ci sono solo le tesi, le ipotesi, le testimonianze e le analisi del dna (nuove o lette sotto la luce aggiornata dalla scienza): ci sono anche le eventualità. Da prendere come un mero esercizio di scuola, per carità: a metà strada tra il campo del possibile e quello del probabile, più un ripasso di procedura penale che la presunzione di sapere come andrà a finire. Però metti il caso. Metti il caso che Stasi torni libero e chieda pegno allo Stato per quanto ha passato, che cifra gli spetterebbe? Partiamo da qui per due ragioni: primo perché è un sacrosanto diritto di chiunque abbia subito una sentenza ingiusta (laddove sia accertato) rivalersi su chi gli ha rovinato l’esistenza e secondo perché ci riguarda tutti, sia a livello di società sia per il portafoglio, dato che le casse pubbliche alle quali si attingerebbe sono riempite con le tasse dei contribuenti, ossia di noi cittadini. A occhio e croce, in termini di pura stima, e un’indicazione con maggior puntualità è impossibile, Stasi potrebbe contare su qualcosina come tre o quattro milioni di euro complessivi.
Garlasco, "era in casa da sola": Stasi e Stefania Cappa, il video inedito
Un video inedito di Alberto Stasi e Stefania Cappa è stato mostrato a Chi l'ha visto?, la trasmissione condot...Potrebbe, i condizionali sono più di uno, ma anche le voci da mettere in conto. Anzitutto una precisazione tecnica: si parlerebbe non di ingiusta detenzione (che riguarda chi viene messo al gabbio e poi prosciolto) ma di errore giudiziario (nello scenario che stiamo immaginando Stasi viene scarcerato a seguito di una revisione avendo già incamerato una condanna definitiva). Non è un cavillo né una questione linguistica: significa che la sua richiesta di indennizzo, teoricamente, potrebbe non avere alcun limite prefissato.
Per la normativa italiana in vigore, infatti, ogni giorno passato in carcere ingiustamente dà diritto a un risarcimento di 235,82 euro. Chi avanza una domanda in questo senso non può superare il mezzo milione di euro, epperò lo sbarramento non si applica alle vicende più gravi, appunto quelle sulle quali è intervenuto un errore così clamoroso da aver reso necessario il ricorso all’istituto della revisione.
Stasi è rinchiuso dal 2015 che fa, mese più mese meno, circa dieci anni: solo sul fronte della detenzione ballano quasi 800mila euro, ma non sono i soli. Andrebbero aggiunti gli eventuali danni lamentati come quelli psicologici oppure morali (questi vengono decisi di volta in volta e non esiste un tariffario che li definisca a priori) e, volendo fare i pignoli, il recupero delle somme già versate (Stasi ha risarcito la famiglia Poggi con 850mila euro, cifra pagando la quale si è persino indebitato: se un potenziale procedimento di revisione lo scagionasse, verrebbe meno il presupposto di quell’esborso e non servirebbe un blasonato avvocato per suggerirgli la strada di un contenzioso in sede civile). Morale, a mettere tutto assieme, ci sarebbero anche le fatture per le spese legali legate alla revisione “vinta” ma in confronto sono bruscolini, la faccenda è sonante.
«Il rispetto che abbiamo per chi sta indagando ci fa mettere l’ipotesi di un’eventuale revisione in secondo piano». Venerdì, varcando la soglia del tribunale di Pavia per partecipare all’incidente probatorio, Antonio De Rensis, che è il difensore di Stasi, ha chiarito un punto non secondario: è troppo affrettato, troppo prematuro ipotizzare (ora) un ricorso alla corte d’appello di Brescia, anche perché, nel 2017, i giudici lombardi hanno già dichiarato il non luogo a provvedere su una richiesta di attivazione delle indagini che mirava ad andare, in sostanza, in questa direzione. Otto anni fa si è risolto tutto con qualche scartoffia e un niente di fatto, oggi è diverso: c’è un pool di magistrati (quelli di Pavia) che il faldone l’ha riaperto sul serio, con un nuovo indagato e un nuovo capo di imputazione.
Al netto dell’intenzione del legale di Stasi che sembra di non affrettare i passaggi, un’eventuale revisione non sarà facile e non sarà nemmeno veloce. «Si tratta di una specie di appello straordinario legato a circostanze sopravvenute: uno Stato garantista vuole che non esista una verità assoluta, specie quando cerca di contemperare le esigenze della certezza del diritto da un lato e della giustizia dall’altro», spiega a Libero l’avvocato penalista Marco Biagioli del foro di Grosseto. Ha dei requisiti ben specifici, però, la revisione: «Servono nuove prove, il che vuol dire anche prove che erano state già valutate ma che hanno portato a esiti differenti. Oppure è necessario che, nel frattempo, sia intercorsa una sentenza che ha modificato i presupposti di quella emessa e sulla quale si chiede la revisione». Non è una facoltà che spetta solo all’imputato (tra l’altro non esiste un massimo di istanze che si possono presentare), la domanda può essere avanzata anche dalla procura e dal procuratore generale della corte d’appello.
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Non solo la presunta presenza di Dna sulle unghie della vittima e l’impronta sulla parete della scala dove è...Questi, tuttavia, sono tecnicismi: la pratica è esattamente come ripartire da un nuovo processo. «C’è una fase di valutazione preliminare e, qualora venga dichiarata ammissibile, si va al dibattimento e si prosegue fino a un eventuale impugnazione in Cassazione perché tutto questo si svolge in corte d’appello, quindi come si fosse in secondo grado». Viene concessa raramente, la revisione, ma quando si attiva il rischio è di trascinarsi ancora per molto tempo: «La giustizia dovrebbe essere rapida e giusta», chiosa Biagioli, «altrimenti nel mezzo ci sono vite rovinate, in un senso e nell’altro».