Droni russi a Varese? Tutte balle: ecco cosa emerge

Un'inchiesta smonta l'ipotesi dello spionaggio di Mosca sul centro di ricerca della Commissione Ue a Ispra: si sarebbe trattato di interferenze interne
di Michele Zaccardivenerdì 30 maggio 2025
Droni russi a Varese? Tutte balle: ecco cosa emerge
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Ricordate il caso dei droni russi che tra marzo e aprile avevano sorvolato il centro di ricerca della Commissione europea di Ispra, sul Lago Maggiore, in provincia di Varese? Beh, non erano russi e non erano nemmeno droni. Stando a quanto risulta da un’indagine interna avviata in seguito ai fatti, si è trattato di un falso allarme. «I rilevamenti di droni russi del tipo “Zala 421”», si legge in un documento riservato visionato da Libero, sarebbero in realtà da attribuire a interferenze generate all’interno della stessa struttura».

Ma facciamo un passo indietro. A fine marzo, suscitò grande allarme (e lunghi articoli sui giornali) la notizia di un misterioso drone russo che sorvolava indisturbato una delle strutture più sorvegliate del Nord Italia, e su cui vige persino divieto di volo (no fly zone): il Joint research centre (Jrc) della Commissione Ue a Ispra, appunto. A denunciare l’accaduto sono stati gli stessi responsabili del centro di ricerca. Attraverso il loro sistema di rilevamento sperimentale di velivoli sconosciuti, avevano intercettato infatti sei passaggi dell’apparecchio. L’allarme si era fatto più serio quando alcuni esperti sostennero che il dronte fosse di fabbricazione russa.

Certo, l’area su cui si sono registrati gli avvistamenti (non visivi, ma tramite frequenze radio) è piuttosto delicata dal punto di vista della sicurezza: oltre al Jrc (il terzo campus di ricerca più grande della Commissione Ue dopo quelli di Bruxelles e Lussemburgo, attivo da 65 anni) dove lavorano numerosi ricercatori specializzati in diversi campi (fra i quali nucleare, sicurezza, spazio, risorse sostenibili e trasporti), nel raggio di qualche decina di chilometri sempre in provincia di Varese si trovano infatti importanti stabilimenti di Leonardo, azienda leader industriale della difesa nazionale, soprattutto nei settori aeronautico e spaziale. L’impianto più vicino, a poco più di una dozzina di chilometri, è quello della Leonardo helicopters training academy di Sesto Calende, mentre poco più lontano, a Vergiate, si trova la Divisione elicotteri, fiore all’occhiello della progettazione e della produzione italiana di velivoli civili e militari di ultima generazione. E ancora altri centri strategici sono a Somma Lombardo (meno di 30 chilometri), Samarate (circa 40 chilometri), mentre Venegono Superiore — anche qui a poco più di 30 chilometri — ospita la sede della prestigiosa Aircraft division. Un’area molto vasta che sarebbe stata attenzionata dal drone.

E i sospetti puntavano dritto su Mosca: è il Cremlino che ha lanciato in avanscoperta un drone per spiare le attività militari e di ricerca sul territorio italiano. Insomma, dietro le anomalie rilevate dal Joint Research Centre in molti ci vedevano la mano di Putin. Un’ipotesi molto preoccupante. Tant’è che la Procura di Milano aveva persino aperto un fascicolo per far luce sull’accaduto.

Ma oggi, a distanza di quasi due mesi, si può dire che si è trattato di un grande abbaglio. Perché a partire dall’inizio di aprile è stato avviato un monitoraggio con specifici sistemi di rilevamento, identificazione e tracciamento di droni. L’indagine è avvenuta in tre fasi. Nelle prime due, condotte all’esterno del Jrc con antenne posizionate a distanze variabili dal centro, sono stati identificati segnali riconducibili a droni a ad altri apparecchi elettronici (anche di uso domestico, come dispositivi per la connessione Wi Fi, ad esempio i router). Nella terza fase, il sistema è stato collocato all’interno del centro di ricerca: lì ha rilevato segnali anomali che non erano stati rilevati all’esterno del Jrc.

Come si legge nel documento, «un’analisi approfondita ha evidenziato che tali segnali potrebbero derivare da dispositivi interni al Jrc, come sensori o apparecchiature telemetriche (ovvero che misurano e trasmettono dati da remoto, ndr)». In particolare, il sistema ha «attribuito più volte un segnale al “Zala 421”, un drone russo, sulla base» di una firma identificativa. Tuttavia, «i valori tecnici del segnale», prosegue il documento, «indicano con alta probabilità che esso provenga da dispositivi fissi installati negli edifici del centro, e non da un drone in movimento». Secondo gli esperti dunque il sistema del Jrc potrebbe «essere stato ingannato da onde elettromagnetiche prodotte da apparecchi interni, come i sensori antincendio». La conclusione dell’indagine insomma non lascia adito a dubbi: «Sebbene l’ipotesi iniziale fosse quella di un’azione di spionaggio tramite drone russo, le indagini tecniche suggeriscono sempre di più la possibilità di un falso allarme causato da interferenze esterne. Le verifiche restano comunque in corso».