Che bello pensare che gli studenti in sciopero della parola all’orale dell’esame di Stato abbiano voluto seguire La strada della gloria di Metastasio, il quale appena qualche secolo scriveva che «Un bel tacer / ogni dotto parlar vince d’assai». Ma magari avrebbero dovuto dimostrare di conoscere Metastasio, e senza profferire verbo è assai dura. È la maledetta scuola italiana che ha perso la bussola dai tempi di Gentile (il filosofo, non il calciatore), dal ’68 che ne ha tritato l’ossatura nel nome del rifiuto del nozionismo e del diritto alla promozione, dalle riforme che l’hanno svilita sino a ripudiare il merito e ad arrivare alla cifra-monstre della quasi totalità di promozioni nel segno della filosofia del campacavallo.
L’ultima barriera è caduta con il rifiuto a farsi esaminare all’orale e a passare pure per eroi del libero pensiero, della disobbedienza civile, dell’anelito alla libertà assoluta e incondizionata. Il silenzio premiato, addirittura lodato dagli intellettuali e dagli arronzanti militanti, perché i giovani vanno comunque ascoltati, vanno capiti, il loro malessere richiede attenzione, e poi magari si apre anche un bel dibattito come ai tempi gloriosi e d’impegno dei cineforum ai circoli del Pci: sì, proprio quelli ridicolizzati per sempre da Fantozzi con La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn.
Immancabili le sponde interessate a gratificare un gesto che umilia chi nella scuola, di qua e di là della cattedra, ci mette impegno, rinunce e sacrifici: tutto quello che poi la vita stessa richiederà, se non si nasce figli di papà con la strada già spianata. L’aveva capito un certo Seneca un paio di millenni fa, il quale in appena cinque parole rivelò l’essenza dell’apprendimento e della cultura: non impariamo per la scuola, ma per la vita (non scholae, sed vitae discimus).
Che un rettore di università come Tomaso Montanari ringrazi gli studenti per la lezione dell’esame muto, un cineforum lo meriterebbe eccome. Verrebbe quasi voglia di iscriversi al suo ateneo e vedere l’effetto che fa presentarsi agli esami con un pistolotto di dissenso sulle baronie in cattedra, il nozionismo e l’alea delle domande, e pure sui libri di testo dei docenti con divieto di fotocopia e firma di garanzia, e altre amenità universitarie del genere. In assenza di schitarrate e di esami collettivi sessantotteschi, un coerente minimo garantito come riconoscimento del valore del silenzio e via con la laurea.
Una vera gioia, poi, affidarsi a un medico ex contestatore, a un avvocato ex nemico del sistema, a un ingegnere zitto all’esame di Stato per rifiuto delle formule matematiche e fisiche, a un architetto formato col professor Google. Che lo faccia l’eurodeputata Ilaria Salis, che di scuola ne ha vista pochina sia per frequenza che per lavoro (e forse è un bene), magari ci sta. Ma un conto è occupare le case altrui, un conto disoccupare ideologicamente gli studenti di oggi che non accettano la competitività e domani si faranno travolgere ballando sul Titanic del mondo del lavoro. Come sosteneva Ennio Flaiano, «vogliono la rivoluzione ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri». Quanto ai maestri di vita che sanno sempre quel che è giusto e corretto, un consiglio ai ragazzi a non confondere «con l’utile il danno; / chi vi regge credete tiranno; / chi vi giova chiamate crudel». Lo diceva già Metastasio.