C’ è una neolingua che occorre usare per non essere respinti nel limbo dei disumani. Essa comporta che non si chiamino le cose col loro nome, che le parole si distendano soffici su tutto ciò che disturba il quadretto idilliaco che i buoni, i giusti, i progrediti, intendono avere dinanzi a sé come metafora ispiratrice per commentare la realtà. E quando la realtà ci restituisce qualcosa di ingiusto, di brutto, ecco che subito l’uso della neolingua deve lenire quella ferita per fare in modo che l’opinione pubblica non ne rimanga turbata e non manifesti rabbia. È qualcosa che si situa tra il “follemente corretto” di cui parla Luca Ricolfi e il newspeak di cui scriveva Orwell nel suo 1984.
Accade così che se quattro ragazzini rom rubino un’auto travolgendo una 70enne che camminava sul marciapiede per i fatti suoi scattano le regole non scritte della neolingua. Intanto non va menzionata l’etnia (un tg ha specificato che si tratta di ragazzini nati in Italia) perché i rom devono essere sempre e solo vittime. I rom sono emarginati e come tali meritevoli di uno sguardo pietoso e grondante desiderio di integrazione. Ancora, i minori che hanno commesso il crimine diventano baby-pirati, sono inconsapevoli bimbi che la società non ha saputo proteggere secondo la singolare tesi della scrittrice Viola Ardone che paragona i quattro delinquenti ai personaggi della favola di Hansel e Gretel. Giocavano, in fondo, senza avere la nozione di bene e male. Di chi la colpa? Se poi parla Matteo Salvini ecco ergersi all’orizzonte della retorica parolaia della sinistra il perfetto capro espiatorio sul quale far ricadere le colpe di un’infanzia traviata. E come si permette il leader leghista di invocare le ruspe per i campi rom?
Si ripete in pratica lo stesso copione messo in atto quando Salvini citofonò a Bologna a una famiglia tunisina chiedendo se fosse vero che erano spacciatori. Al di là dell’opportunità del gesto, su cui si possono avere idee differenti, tre anni dopo (era il 2023) il tribunale riconobbe che quella gente faceva parte di un’organizzazione di trafficanti di droga e la condanna è stata confermata in Cassazione.
All’epoca si disse che Salvini aveva infierito contro un povero minore che voleva solo studiare e sognava di diventare un calciatore famoso. Oggi il rito del “dagli al leghista Salvini” distoglie l’attenzione dal comportamento criminale di quattro minorenni che devono per forza indurre a sentimenti di pietismo. Secondo la sinistra spetta alla società la responsabilità di far diventare “buono” ogni legno storto anche se questo non sempre è possibile. Il sindaco Sala dice che non si deve speculare sulle drammatiche circostanze in cui è morta una donna. Le “drammatiche circostanze” avrebbero nomi più precisi per essere definite: una catena di reati che non può certo essere derubricata a innocente attività ludica sfuggita di mano. Insomma per i rom che ammazzano con una macchina rubata massima comprensione però poi per circoscrivere gli omicidi stradali si obbligano intere città ad adeguarsi ai 30 km all’ora. C’è poco da discutere con chi ha giurato fedeltà giornalistica alla neolingua: ci sono soggetti che dal rango di vittime non possono essere spodestati. I rom fanno parte di questa eletta schiera, e così chi a scuola non rispetta le regole o chi occupa case, e ancora i migranti e da ultimo i palestinesi, tanto i civili senza colpe quanto i terroristi. Questa è l’immaginaria umanità sofferente e senza colpe che appaga l’unico credo che gli atei di sinistra conoscono: l’ideologia dell’ipocrita bontà che sostituisce ogni religione, dell’ipocrita fratellanza (solo con chi la pensa in modo conforme perché per gli altri neanche basta la galera a vita), dell’ipocrita neolingua applicata alla cronaca. Bisogna spargere lacrime intersezionali e multidimensionali quando qualcosa di male accade e, possibilmente, dire che la colpa è del governo Meloni oppure – se proprio non è possibile – chiedersi con cartesiano civismo: di chi la colpa? Di chi sarà mai?