Zaia perde la pazienza: "Daspo ai turisti cafoni"

di Susanna Barberinigiovedì 28 agosto 2025
Zaia perde la pazienza: "Daspo ai turisti cafoni"

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La coda dell’estate veneta, calda e affollata come non accadeva da anni, si è trasformata in un teatro di episodi che hanno profondamente irritato il presidente della Regione, Luca Zaia. Non per il numero record di visitatori – 28 milioni secondo i dati dell’ultimo rapporto Federalberghi Veneto riferito a giugno – ma per il fenomeno che lui stesso ha definito senza mezzi termini “turismo cafone”.

Un termine che restituisce immagini precise: vacanzieri sdraiati in mutande lungo le canalette del Prato della Valle a Padova, camperisti che a Cortina si spogliano accanto al monumento delle Olimpiadi del’56 stendendo i panni come fossero al campeggio, gruppi che trasformano i ponti di Venezia in trampolini per tuffi, le calli in improvvisati palcoscenici per acrobazie da social, le piazze in bivacchi.
Scene che hanno indignato cittadini e visitatori rispettosi, alimentando un dibattito che non riguarda soltanto il Veneto ma l’Italia intera: dalle fontane di Roma usate come piscine – 1. 300 i daspo urbani emessi nella capitale solo nel 2025, 400 dei quali contro turisti stranieri – fino alle scalate dei monumenti di Firenze solo per un selfie e ai sentieri delle Cinque Terre percorsi in infradito, dove le multe arrivano a 2.500 euro. In ogni caso, secondo i dati contenuti nel Rapporto annuale Istat 2025, il numero di daspo urbani emessi in Italia quest’anno ha superato le 9.800 unità, segnando un incremento del 27% rispetto al 2024, quando i provvedimenti erano stati poco più di 7.700.

Zaia, irritato dagli ultimi episodi padovani, ha alzato il tono: «C’è un limite a tutto. Non siamo un luna park. Il Veneto è la regione dei record nel turismo, ma non può e non vuole diventare terra fertile per il turismo cafone. Accogliamo chi porta rispetto, chi viene per conoscere, apprezzare, magari tornare. Ma a chi pensa di ridurre le nostre città d’arte e i nostri paesaggi a sfondo per bravate da social diciamo che non sarà tollerato». Il governatore ha rilanciato così l’ipotesi di applicare anche ai visitatori indisciplinati il Daspo urbano, strumento nato per allontanare i tifosi violenti dagli stadi e che in altre città è già stato esteso a chi disturba la quiete o danneggia il patrimonio. «Sono più che favorevole – ha sottolineato Zaia – a strumenti normativi che prevedano anche il Daspo per chi viola il decoro dei nostri luoghi di villeggiatura in modo pesante, ripetuto e con palese disprezzo della comunità».

La linea dura, però, non convince tutti. L’assessore al Turismo di Padova, Andrea Colasio, pur stigmatizzando i comportamenti incivili, ha frenato sull’uso del Daspo: «$ come voler uccidere un cardellino con una mitragliatrice. Sono più propenso a valutare un approccio sanzionatorio a livello di multe, il Daspo mi pare francamente eccessivo dato che parliamo di un problema di decenza, non di ordine pubblico».
Di certo c’è che negli ultimi anni, la difesa del patrimonio storico e paesaggistico italiano ha spinto diverse città a sperimentare ordinanze creative: a Firenze si discute di contingentare gli affitti brevi, a Venezia è già realtà il biglietto d’ingresso da 5 euro per i visitatori giornalieri, mentre a Capri e lungo la costiera amalfitana si sperimenta la circolazione a targhe alterne. Il nodo resta sempre lo stesso: come coniugare l’accoglienza, che è parte integrante dell’identità italiana, con la tutela dei luoghi che attirano milioni di persone ogni anno? Il richiamo al “decoro” di Zaia risuona come un invito alla responsabilità collettiva, ma apre anche interrogativi sul confine sottile tra libertà individuale e disciplina pubblica. $ lecito espellere un turista per un comportamento maleducato? O non si rischia piuttosto di trasformare i centri storici in spazi blindati, in cui l’esperienza del viaggio perde la sua spontaneità? Domande che attraversano non solo il Veneto, ma l’intero Paese. Perché l’Italia, patria dell’arte e della bellezza, resta una calamita irresistibile, e proprio per questo fragile. Il “turista cafone” diventa allora il rovescio della medaglia di un turismo di massa che da un lato alimenta l’economia, dall’altro mette a dura prova la convivenza e la conservazione del patrimonio. Zaia promette fermezza. Intanto, nelle piazze, nei rifugi alpini e tra i canali, resta la domanda di fondo: come educare chi arriva a comportarsi da ospite e non da padrone? Forse la sfida del turismo del futuro non sarà soltanto attrarre numeri, ma selezionare valori.