Delitto di Garlasco, l'ex maresciallo Marchetto: "Io, figura scomoda nell'inchiesta"

martedì 9 settembre 2025
Delitto di Garlasco, l'ex maresciallo Marchetto: "Io, figura scomoda nell'inchiesta"

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“Non ho depistato le indagini, nel corso degli anni sono emersi gli atti che dimostrano chi lo ha fatto. Fui estromesso dopo meno di un mese ma, a sapere ciò che mi sarebbe accaduto, avrei sequestrato la bicicletta di Alberto Stasi, anche se non corrispondeva alla descrizione. Secondo me andavano indagate anche altre persone”. A parlare è il maresciallo Francesco Marchetto, ex comandante della stazione dei Carabinieri di Garlasco, intervenuto in diretta al programma Incidente Probatorio - Cronache d’estate, in onda sul canale 122 Fatti di Nera. Il suo è un intervento a difesa del proprio lavoro e una risposta ai tanti dubbi sollevati sulla prima fase delle indagini nella villetta in cui fu uccisa Chiara Poggi.

Chi andava indagato, secondo Marchetto? “Quando io ho alzato il dito con il mio ufficiale – ha spiegato l’ex maresciallo – ho semplicemente detto che andavano condotte indagini anche su altre due persone, per capire la verità, per escludere eventuali sospetti oppure trovare indizi. Una era Stefania Cappa, perché nell’interrogatorio che ha reso aveva dichiarato di essere proprietaria, insieme alla famiglia, di una bicicletta di colore nero. Per rendere completo quel verbale mancava però un riscontro, che non fu fatto non per colpa mia. Lì c’erano delle persone che coordinavano, un’intera linea gerarchica. La seconda persona era sua madre Rosa Poggi, che aveva dichiarato di essere uscita di casa alle 9.30 del mattino. Peccato che un commerciante abbia detto di averla vista transitare a bordo di un suv nero verso le 8:15, riconoscendola senza ombra di dubbio perché era sua cliente. Secondo me c’era da fare un’indagine a 360 gradi: se si ascolta una persona e non si va a verificare ciò che ha detto, quello resta un verbale a metà. Io provai a sentire Stefania Cappa, ma il mio comandante mi disse che lei aveva un alibi. Dopo meno di un mese fui estromesso dalle indagini. Ripensandoci, le prime due cose che mi avevano colpito erano proprio questi due verbali: uno incompleto, perché mancava il riscontro sulla bicicletta, e quello della madre, in cui emergeva una evidente discrepanza sugli orari”.

Al centro della discussione, ovviamente, sono finite anche le dichiarazioni della vicina dei Poggi, Franca Bermani, che aveva indicato – in due momenti differenti – la presenza di una bicicletta nera all’esterno della villetta. “Io non ho sequestrato quella famosa bicicletta nel capannone del padre di Alberto Stasi – ha spiegato Francesco Marchetto – per un motivo molto semplice: non corrispondeva alla descrizione contenuta nel verbale, solo per questo. Mancavano le molle e il cestino che erano stati indicati nella deposizione. Se anche solo in parte fosse corrisposta, l’avrei sequestrata sicuramente. Col senno di poi, l’avrei subito sequestrata e oggi quella bicicletta sarebbe ancora sotto al mio letto. Dopo il 13 agosto, la signora Bermani fu sentita anche il giorno 25 e, oltre a confermare le prime dichiarazioni, specificò qualcosa di nuovo che ricordava di quella bicicletta. Io mi chiedo perché, dopo aver acquisito il verbale della signora Bermani, nessuno abbia rivisto tutto alla luce delle nuove dichiarazioni. Alla fine la colpa è ricaduta solo su di me. Il 14 agosto andai a visionare la bicicletta nel capannone: per me non era quella descritta. Furono eseguite due perquisizioni per Stasi su ordine del pm, il 14 e il 20. Perché, pur avendone la possibilità, il 20 agosto nessuno degli incaricati delle perquisizioni entrò nel capannone del padre di Alberto Stasi? Secondo me si doveva procedere anche ad accertare se all’interno del bagno ci fossero o meno tracce di sangue. Inoltre – si è chiesto Marchetto – il 25 agosto la signora Bermani rese dichiarazioni più precise: perché nessuno è andato a ricontrollare quella bicicletta? Io, invece, ho spiegato perché non l’ho sequestrata il 14”.

Un approfondimento è stato fatto anche sull’interrogatorio di Marco Muschitta, l’operaio che il 13 agosto 2007, giorno dell’omicidio di Chiara Poggi, dichiarò di aver visto una ragazza bionda in bicicletta che procedeva a zig-zag e un’auto nera parcheggiata poco più avanti, dopo aver sbagliato strada. Quelle dichiarazioni furono ritrattate il giorno dopo. “Muschitta è tutto tranne che un depistatore – ha sostenuto l’ex maresciallo – la moglie fu ascoltata e confermò quanto riportato nelle quattro pagine di verbale. È una persona attendibile, non aveva la sfera di cristallo per inventarsi ciò che aveva visto in via Pascoli. Può aver confuso il modello dell’auto, tra mini-suv e utilitaria, ma fu verificato che quella mattina aveva effettivamente effettuato quel percorso. Il giorno dopo, chi ha ascoltato la sua telefonata col padre, in cui confermava ciò che aveva visto anche se aveva ritrattato, perché non ha avvisato immediatamente il pm? Se si mettono telefoni sotto controllo, ci deve essere uno scopo. Muschitta poteva essere stato minacciato da qualcuno, ma durante l’interrogatorio raccontò tutto ciò che aveva visto. Pur avendo ritrattato, dalla telefonata si capiva chiaramente che quella era la verità. Perché chi ha ascoltato la conversazione non ha chiesto una perquisizione per verificare se, in quelle abitazioni, corrispondesse la descrizione dell’abbigliamento? Bisognava indagare anche in quel senso. Io spero che Muschitta sia stato ascoltato”.

Resta poi il nodo del movente nell’omicidio di Chiara Poggi: “Nel caso in cui sia stato Alberto Stasi, il movente non c’è. Ma il problema è un altro: se questa nuova Procura riuscirà a mettere la parola fine e ad arrivare al vero colpevole, di conseguenza si capirà anche il movente reale, perché le indagini devono servire a cercare la verità, e ciò non è stato fatto”. Alla domanda se qualcuno lo considerasse una “persona scomoda” per le indagini, Francesco Marchetto non ha avuto dubbi: “Dico il mio comandante di compagnia e l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, al quale spiegai come avrei impostato le mie indagini”.