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Preservativi distribuiti ai detenuti: sesso in carcere e polemiche

La direttrice ha comprato centinaia di condom per "motivi terapeutici" contro epatite, hiv, sifilide. Insorgono i sindacati della penitenziaria e il Dap: "È il fallimento del sistema"
di Claudia Osmettigiovedì 25 settembre 2025
Preservativi distribuiti ai detenuti: sesso in carcere e polemiche

(Ansa)

3' di lettura

È scoppiato un mezzo putiferio, a Pavia, dopo che la direttrice del carcere Torre del Gallo ha comprato e consegnato al dirigente sanitario della struttura 720 preservativi con lo scopo di distribuirli tra i detenuti. È insorto il dap, ossia il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma sono stati critici anche alcuni sindacati di categoria, come la sigla Uilpa degli agenti penitenziari. A difendere l’iniziativa, invece, è l’associazione Antigone che da sempre monitora quel che avviene nelle galere italiane.

Passo indietro, però, per capire di cosa stiamo parlando: Stefania Musso è la direttrice della casa circondariale pavese; è lei che, qualche giorno fa, firma l’ordine di servizio per l’acquisto dei condom, documento che viene inviato sia al personale sanitario, sia al comandante della polizia penitenziaria sia all’ufficio della ragioneria. Non salta un passaggio Musso, ogni cosa è tracciata e la motivazione che dà alla scelta è quella di una misura a carattere «terapeutico».

Non c’è molto da spiegare, la questione è abbastanza semplice: i vertici del carcere comprano i profilattici, li consegnano in prima battuta al dottor Davide Broglia che dirige il team sanitario dei dipendenti, saranno poi le dottoresse Paola Tana e Gabriella Davide, una volta definite le modalità, a distribuirli tra gli ospiti del penitenziario e ogni cessione dovrà essere scrupolosamente annotata.

Fine dell’iter “burocratico” e inizio della polemica ché qui, cioè a Pavia, mica tutti la prendono bene. Sì, d’accordo, l’espressione «motivi terapeutici», nel testo della circolare di Musso, non viene esplicitata meglio, ma tutto sommato non ce n’è bisogno: in media, quindi non solamente nel carcere della cittadina lombarda, le malattie a trasmissione sessuale come l’hiv, la sifilide o le epatiti sono più diffuse dentro rispetto che fuori. Il fenomeno non è solo italiano, così come non è solo italiano il fatto che la possibilità di avere rapporti intimi tra detenuti non sia normata o formalmente regolamentata: eppure un conto è il sostanziale tabù che cade in questi casi e un altro è la realtà quotidiana di quel che avviene, davvero, giorno dopo giorno, quando si chiudono i cancelli di un istituto di pena.

A Pavia Musso opta per non ignorare la faccenda: i profilattici possono essere considerati come presidi sanitari, sicuramente rappresentano uno strumento importante nella prevenzione di alcune patologie. Certo non risolvono ogni cosa (di certo non risolvono il nodo della sessualità in prigione che è assai più ampio e che riguarda anche la possibilità di permettere incontri sessuali con persone che non sono carcerate), però possono fare la differenza.

Invece il dap boccia l’iniziativa sostenendo che è «stata adottata senza alcuna preventiva interlocuzione coi superiori uffici, circostanza che appare di particolare rilievo dal momento che incide su profili che attengono direttamente all’ordine e alla sicurezza penitenziaria»: «Restano inevase», prosegue una nota, «valutazioni essenziali: dalle modalità di controllo, alla prevenzione di condotte violente tra i detenuti, fino ai possibili usi distorti dei profilattici che potrebbero essere impiegati per occultare sostanze stupefacenti, eludendo così i normali controlli».

Anche Gennarino De Fazio, che è il segretario generale dell’Uilpa della polizia penitenziaria, pur specificando che «la nostra non è una valutazione di carattere morale», commenta che «l’ammissione di rapporti promiscui i cui effetti sono da arginare attraverso la distribuzione di profilattici certifica il fallimento complessivo del sistema carceri. Mentre si discute della disciplina del diritto all’affettività dei detenuti, riconosciuto dalla Corte Costituzionale, l’amministrazione penitenziaria sembra avallare un esercizio fai da te della sessualità».

A favore della misura è, invece, Patrizio Gonnella, il presidente di Antigone: «Il sesso in carcere è trattato come se fosse un tabù», ammette, «ignorare che faccia parte della vita ordinaria delle persone significa essere omertosi e ciechi. In una comunità monosessuata è importante prevenire forme di sessualità forzata e violenta, così come è importante prevenire malattie che possano derivare da rapporti non protetti».