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Gintoneria, Lacerenza e Nobile patteggiano: i pm dicono sì allo champagne

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mercoledì 22 ottobre 2025
Gintoneria, Lacerenza e Nobile patteggiano: i pm dicono sì allo champagne

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Per dirla alla Peppino Di Capri, Champagne! i pubblici ministeri hanno infatti detto sì: l’accordo proposto da Davide Lacerenza e Stefania Nobile è stato accettato, e con esso anche l’insolito “risarcimento” in parte costituito da bottiglie di champagne e arredi di lusso. Il giudice per le indagini preliminari di Milano ha infatti ratificato i patteggiamenti - 4 anni e 8 mesi per Lacerenza, 3 anni per l’ex compagna e socia Stefania Nobile, figlia di Wanna Marchi - mettendo così la parola fine all'inchiesta sulla Gintoneria e sul privé La Malmaison.

I due erano stati arrestati il 4 marzo nell’ambito dell’indagine su un presunto giro di prostituzione e droga legato ai locali della movida milanese. Oltre alla pena concordata, come detto, il patteggiamento prevede un consistente risarcimento, sotto forma di confisca di beni per oltre 900mila euro: una cifra raggiunta grazie al valore stimato delle bottiglie di champagne e di altri alcolici sequestrati durante le indagini, che ora finiranno all’asta.

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Ad aumentare ulteriormente la cifra contribuiscono anche diverse decine di migliaia di euro trovate sui conti correnti riconducibili ai due, insieme agli arredi dei locali. Per Lacerenza, la sentenza apre la possibilità di chiedere una misura alternativa al carcere: l’affidamento in prova ai servizi sociali, con l’obiettivo anche di disintossicarsi dalla cocaina in una comunità. Nobile, invece, è già stata ammessa ai lavori di pubblica utilità, che svolgerà presso la Protezione civile di Bresso, alle porte di Milano.

Stefania Nobile - che nel 2013 aveva terminato di scontare la pena per associazione per delinquere e truffa nel celebre caso delle televendite con la madre - non era accusata di spaccio di cocaina, imputazione mossa invece a Lacerenza insieme a quelle di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.

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La sessantenne, che si sarebbe occupata della parte amministrativa e contabile dei due locali, aveva deciso di farsi interrogare lo scorso 17 aprile, una scelta interpretata dagli inquirenti come segnale di collaborazione. E già in quell’occasione, scrivevano i giudici del Riesame, era emerso come il vero fulcro del business fosse ben lontano dalle apparenze: il “core business”, avevano sottolineato, era la “messa a disposizione di ragazze e stupefacente e non certo solo dell’alcol”.

L’“offerta di prostitute”, proseguivano i giudici, intesa come “disponibilità e trasporto a domicilio”, era “finalizzata a garantire che la clientela consumasse alcol” e poi al “raggiungimento di un proprio personale tornaconto”.