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Famiglia nel bosco, com'è davvero la casa dello scandalo: una scomoda verità

di Nicoletta Orlandi Postigiovedì 27 novembre 2025
Famiglia nel bosco, com'è davvero la casa dello scandalo: una scomoda verità

3' di lettura

Il casolare della famiglia Trevallion – Birmingham si vede all’ultimo, quando la strada per Palmoli si stringe e lascia spazio al bosco. È una casa di pietra a un piano, piccola, addossata al pendio, con un tetto di coppi come se ne incontrano in molti paesi di montagna abruzzesi. Nelle carte del tribunale è definita «un rudere fatiscente», privo di collaudo statico, in condizioni «non idonee alla tutela dell’integrità fisica dei minori». A vederla da vicino, restituisce in effetti un’immagine meno netta: le lesioni sui muri ci sono, ma la perizia di un geometra parla di «discrete condizioni generali» e precisa che le crepe non ne pregiudicherebbero la stabilità. Il problema, semmai, sono gli impianti: carenti, incompleti, da adeguare. Davanti alla casa, un cancello di legno chiude l’accesso al cortile.

Oltre la recinzione, il bosco si apre in una piccola radura dove si muovono Gallipoli e Lee, l’asinello e il cavallo che appartengono alla famiglia. Fino a pochi giorni fa dividevano quello spazio con tre bambini: una di nove anni e due gemelli di sei, che qui correvano, giocavano con gli animali, partecipavano ai lavori dell’orto. Ora ci sono solo passi di giornalisti, treppiedi, telecamere. Dentro, lo spazio è limitato: un unico locale abitabile, organizzato in modo essenziale.

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La casa non è allacciata al gas, che in quella contrada non arriva. Il cuore dell’abitazione è la stufa a legna: è lì che si cucina e ci si scalda. Durante il sopralluogo dell’inviata del Corriere, un termometro appoggiato all’interno segnava 22 gradi. Il contrasto tra l’aria fredda del bosco e il calore della stanza è netto, soprattutto in inverno, quando la legna accumulata all’esterno si trasforma nel caminetto nell’unico rimedio al gelo.

L’acqua corrente non c’è. La famiglia la preleva da un pozzo e la scalda sulla stufa per lavarsi, cucinare, lavare i piatti. È un sistema che richiede tempo e fatica, ma non è improvvisato: chi conosce Catherine e Nathan racconta di una scelta consapevole. Il punto critico, nelle relazioni dei servizi sociali, è l’umidità: si teme il rischio di patologie respiratorie per i bambini. Il reportage di Valentina Baldisserri per il Corsera restituisce un quadro diverso, con una casa piccola ma ben riscaldata; resta l’evidenza di un’abitazione che non risponde agli standard di comfort a cui siamo abituati. Il tema delle condizioni igieniche si concentra soprattutto sul bagno a secco, esterno al casolare. È un’installazione ecologica, simile a quelle previste per legge in contesti rurali con scarsità d’acqua, ma qui sconta la rigidità del clima: nelle relazioni si sottolinea il disagio di dover uscire all’aperto, di notte o d’inverno, per raggiungere i servizi. Attualmente la casa non ha un bagno interno, ed è composta da un solo ambiente abitabile. Proprio per questo Nathan ha firmato un progetto di ampliamento: prevede la costruzione di un bagno collegato alla struttura principale e altri lavori di ristrutturazione, anche questo destinato a entrare nelle carte del ricorso.

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Intorno al casolare, la vita quotidiana che non compare nei decreti: l’orto, gli alberi da frutto, gli animali da cortile, i cani e i gatti che circolano nel cortile. Osvaldo, vicino di casa, ricorda le torte di cioccolato che Catherine portava a Natale e le volte in cui Nathan lo ha aiutato nei lavori. Per lui, i tre bambini erano «come nipoti», sempre sorridenti quando attraversavano la contrada. In paese, a Palmoli, la fruttivendola Ermelinda li descrive come «belli ed educati»: venivano di rado, compravano pane e frutta, la madre parlava poco italiano e teneva un profilo riservato. Il Comune avrebbe offerto una casa in centro, più facile da inquadrare nei parametri dei servizi sociali; la famiglia ha rifiutato, preferendo rimanere nel bosco.

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Le fotografie che accompagnano queste righe mostrano crepe e muri, animali e recinzioni, il bagno esterno, la cucina, il pozzo e la roulotte. Ciascuno può fare l’esercizio di mettere a confronto le parole dei decreti – «rudere fatiscente», «condizioni non idonee» – con quello che un occhio esterno può registrare del posto. Sta al lettore farsi un’idea partendo dai fatti, dal luogo, da come vivevano davvero quei tre bambini prima che un tribunale li portasse lontano dal loro casolare nel bosco. Perché questa non è una favola. È la realtà.

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