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Già pronti i prestanome italiani per fare soldi con nuove onlus

di Simone Di Meomartedì 30 dicembre 2025
Già pronti i prestanome italiani per fare soldi con nuove onlus

2' di lettura

Le parole non sono scelte a caso. Scivolano fuori a bassa voce, si interrompono, ripartono. Ogni frase è un tentativo, ogni pausa un calcolo. Le intercettazioni del 15 giugno 2025, depositate nell’inchiesta della Procura di Genova sui finanziamenti italiani a Hamas, restituiscono il momento esatto in cui gli indagati capiscono che il tempo della copertura è finito. I conti sono osservati. I nomi sono bruciati. Bisogna sparire senza scomparire. Mohammad Hannoun lo dice chiaramente ad Abu Falestine. “La Cupola d’Oro” va chiusa, ma non perché l’attività debba cessare. Il problema è il denaro fermo, immobilizzato, diventato improvvisamente pericoloso. Il capo dei palestinesi in Italia parla della necessità «di voler trovare un modo per recuperare le somme bloccate sul conto corrente dell’associazione».

Subito dopo, la tensione sale, il discorso si fa urgente, quasi concitato: «Abbiamo bisogno di soluzioni, c’è bisogno di lavoro... non è facile... che facciamo una nuova associazione e prendi dipendenti nuovi... noi adesso la cosa più importante è far uscire i soldi dalla Cupola d’Oro... qualsiasi strada o modo». Per gli inquirenti, è l’istante in cui l’organizzazione passa alla fase due. La stessa chiacchierata consegna un altro passaggio cruciale.

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Hannoun, scrive il Gip, «manifesta [...] l’intenzione di aprire una nuova associazione intestata a persone di nazionalità italiana». Non è un dettaglio burocratico. È la ricerca di un volto neutro, di un nome che non attiri sospetti. Lo spiega lui stesso, con una lucidità che inquieta: «Dev’essere una associazione indipendente... l’associazione benefica lasciamo i nominativi che poi risultano registrati sugli elenchi, perché io se dovessi aprire una associazione nuova e trasferire i lavoratori lì dentro... significa che quelli che erano lì saranno di qua...». Le strutture cambiano, gli uomini restano. Il sistema fa solo il giro dell’isolato.mIn questo gioco di ombre entrano i prestanome.

Per il «convoglio della pace per Gaza», l’iban di raccolta fondi viene intestato a Modestino P. indicato pubblicamente come «testimonial e garante» della spedizione umanitaria. Un nome rassicurante, una facciata. Dietro, secondo gli accertamenti, c’è un 63enne residente a Mercogliano, in provincia di Avellino, ex titolare di una ditta individuale per «attività professionali svolte da atleti», senza dichiarazioni fiscali dal 2008, quando denunciò un imponibile di 458 euro. Da fonti aperte emerge anche un passato come agente di sicurezza per una Ong con sede a Berlino.

Il denaro, intanto, non dorme mai, come a Wall Street. Nel Nord Est, la raccolta fa capo a Salameh Ibrahim Adel Abu Rawfa, dipendente dell’associazione di Han noun e indagato. Il suo nome era già emerso per un’anomalia tutt’altro che secondaria: l’acquisto all’asta, «in un lasso temporale ristretto», di «oltre 40 immobili senza peraltro accedere ad alcuna linea di finanziamento». Gli investigatori lo seguono. Lo osservano mentre consegna a Han noun e Abu Falestine «uno zaino contenente 180mila euro, provento di varie raccolte fondi delle settimane precedenti» nella sede dell’associazione a sostegno della Palestina. Poi un’altra scena, ancora più fredda, quasi cinematografica: il casello autostradale di Lodi.

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