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Tutti i "mostri" salvati dall'articolo 18

Matteo Legnani
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Su un totale di 39.405 licenziamenti individuali avviati dalle aziende italiane negli ultimi due anni, il 98 per cento ha avuto motivazioni di carattere disciplinare. La Cigl sostiene che l'80-90% dei dipendenti licenziati nel 2013 per motivi disciplinari abbia riottenuto il posto da un tribunale. Eppure, nonostante questo quadro a dir poco desolante, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha specificato di volere solo "una modifica della normativa del reintegro, ma lasciando la tutela contro i licenziamenti discriminatori e contro quelli per ragioni disciplinari". Proprio ciò che le aziende temono di più e a giudicare dalle "sentenze pazze" della magistratura in tema di articolo 18 riportate dal settimanale Panorama, ne hanno ben donde. Di seguito un elenco delle persone che le aziende italiane hanno dovuto tenersi in casa per volere dei giudici. Il calciatore - Un'azienda industriale di Tivoli ha dovuto reintegrare un dipendente che un bel giorno, durante una rissa, ha pensato bene di sferrare un calcio in faccia ad un suo collega spaccandogli i denti. Licenziato in tronco. Nonostante il Tribunale di Tivoli avesse rigettato il ricorso del pacifico dipendente, la Corte d'Appello di Roma ha in seguito ribaltato la sentenza dando ragione al "calciatore". Motivo? "L'episodio poteva essere sanzionato in maniera più adeguata sulla base delle previsioni alternative del contratto di lavoro". E cioè con tre giorni di sospensione. Licenziamento annullato e azienda costretta a retribuire il dipendente per il periodo intercorso tra licenziamento e reintegro. L'esibizionista - Le ferrovie di Milano sono state costrette a reinserire nei propri ranghi un proprio dipendente che senza pudore di sorta ha mostrato il pene a una povera donna in una sala d'aspetto. Lei lo ha denunciato e l'azienda lo ha prontamente spedito a casa. Ma il tribunale del capoluogo lombardo ha motivato così l'annullamento del licenziamento: "Tali comportamenti sono stati posti in essere fuori dall'orario di lavoro, in località diversa da quella del lavoro, e senza divisa ferroviaria". E così l'esibizionista in borghese l'ha scampata. Morale: fai ciò che vuoi basta che non sia sul luogo di lavoro. L'irascibile - Un ospedale della capitale è stato obbligato a riabilitare un infermiere che ha scagliato per terra un paziente affetto da grave insufficienza mentale prendendolo poi anche a calci al torace e allo stomaco. Non solo: l'uomo se l'è presa anche con una collega che ha tentato di fermarlo inveendo contro di lei. Dopo esser stato cacciato, il Tribunale di Roma ha reintegrato l'irascibile infermiere perché "non costituisce giusta causa l'inadempimento del lavoratore, perché aver perso per un momento il lume della ragione è evento eccezionale, e dunque non ripetibile". Il contestatore - I giudici hanno deciso che un'azienda torinese dovesse reintegrare un manutentore che teoricamente doveva essere a casa in malattia e invece è stato sgamato dalle telecamere mentre prende parte a una manifestazione contro il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Ovviamente l'uomo viene licenziato ma gli avvocati si oppongono perchè lui "non poteva sostenere gli sforzi richiesti per il lavoro, ma ciò non gli impediva di uscire di casa per fare la spesa o per partecipare a una manifestazione al di fuori delle fasce orarie previste per la visita fiscale dell'Inps". Il curioso - All'aeroporto milanese di Malpensa lavora ancora un addetto allo smistamento bagagli che è stato licenziato perché filmato mentre rovistava nelle valigie dei passeggeri. "Un dipendente filmato mentre mette le mani nei bagagli dei passeggeri non è più degno di fiducia e non importa se ruba o no - sostiene l'azienda - perché le valigie non si devono mai aprire. Ma il giudice non è d'accordo. "L'azienda non ha indicato gli oggetti del furto contestato e le denunce dei passeggeri riferite al giorno della contestazione". Reintegrato. Il tossico - "L'uso sul luogo di lavoro di una sostanza stupefacente leggera non legittima il licenziamento in mancanza di previa contestazione di concrete conseguenze negative sulla prestazione lavorativa". Con queste motivazioni il Tribunale di Milano ha sentenziato il reintegro di un addetto che è stato colto in flagrante mentre fumava hashish sul posto di lavoro. Una grande azienda lombarda ha dovuto riprenderselo e accettarlo per quello che è. Il calcolatore - Un'azienda commerciale bolognese si vede costretta a dover reintegrare un addetto che viene pizzicato mentre lavora in una sala giochi quando in realtà doveva essere a casa in malattia a causa di calcoli renali. L'uomo viene licenziato ma i giudici lo rimettono al suo posto. "La presunzione di contraddizione tra malattia e lavoro deve essere verificata in concreto, esaminando il tipo di malattia e valutando se l'attività svolta presenti identità o meno con quella sospesa". Il pugile - La Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento di una guardia giurata addetta al trasporto di valori che ha picchiato un collega mandandolo al pronto soccorso. Motivo? "In assenza dell'affissione del codice disciplinare - hanno stabilito i giudici - la fattispecie non è riferibile a violazione di norma di legge o ai doveri fondamentali del lavoratore". Il pugile è stato dunque renitegrato. Ma davvero - si chiede l'azienda - serve un codice affisso per scongiurare episodi di questo tipo? I rivoluzionari - La Fiat Sata di Melfi ha dovuto reintegrare tre operai lincenziati perchè durante uno sciopero notturno avevano bloccato un carrello per il trasferimento dei materiali, impedendo ai colleghi che avevano deciso di non scioperare di svolgere il loro lavoro. In primo grado i giudici avevano dato ragione all'azienda ma così non è stato negli altri due gradi di giudizio. Secondo le toghe c'è stata "disparità di trattamento" tra i tre blocca-carrelli e gli altri scioperanti. Il duro - "È illegittimo il licenziamento disciplinare basato sull'addebito per cui un lavoratore aveva presentato, per il rimborso spese di un pernottamento, ricevute alberghiere d'importo superiore a quello pagato, presupponendo che egli, pur avendo negato la veridicità del fatto, si fosse in realtà comportato analogamente ad altri lavoratori i quali, nelle medesime circostanze avevano invece ammesso il fatto". Detto in maniera comprensibile, significa che un'azienda ha dovuto reintegrare un dipendente solamente perchè, a differenza dei suoi colleghi, non ha ammesso le sue colpe e cioè di aver gonfiato un rimborso spese. Negare sempre dice la regola.

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