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Appunti/Filippo Facci

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Il Puro, Il Ciuro e il Paguro

francesca Belotti
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Sono una lettrice di Libero e seguo con interesse la sua rubrica (...). La sera di lunedì 8 marzo mi trovavo a Torino e sono andata a cena al ristorante Maurizio e Manuel all'interno del Residence du Parc di Corso D'Azeglio. Sono stata colpita da una bella tavolata di “amici” alla quale sedevano, uno accanto all'altro, Marco Travaglio e il pm Antonio Ingroia, quest'ultimo accompagnato da due enormi agenti di scorta con auto in sosta in doppia fila e lampeggiante acceso. Ho pensato che i due, alla faccia dell'imparzialità della magistratura, tra una portata e l'altra, potessero discorrere di “Ladri”, “Fuorilegge”, “Decreto golpe”, “Inciucio”...» (segue lungo elenco di prime pagine de Il Fatto già citate da Libero di martedì, più complimenti vari e riferimenti al «moralismo da strapazzo» dei succitati).  Gentile A.S., l'amicizia non è reato. Tra l'altro i due amiconi avevano appena presentato l'ultimo faldone di Travaglio al Teatro Nuovo, un librone dedicato eccezionalmente a Silvio Berlusconi.  L'estate scorsa andarono anche in vacanza insieme a Bodrum, in Turchia. Lo stesso fecero in Sicilia. Ieri sera Travaglio era a Milano a presentar libri, ‘stavolta con Piercamillo Davigo, altro magistrato amico suo. Una volta, a Cortina, c'erano lui e Davigo a un dibattito a cui avrei dovuto presenziare anch'io: Davigo disse che in tal caso non avrebbe partecipato lui, e Travaglio non batté ciglio. È fatto così. Già un'altra volta lo videro cenare con Giancarlo Caselli alla Taverna dei Mercanti di Torino: e sarebbero anche fatti loro, il problema è che il cabarettista del Travaglino, abituato a fare contraddittorio solo con lo specchio, un giorno declarò con purezza: «Non frequento i politici. La corruzione comincia davanti a un piatto di pastasciutta. Non bisogna dare del tu ai politici né andarci a pranzo». Un vero duro. Pazienza se dopo quell'intervista mi capitò di presenziare a una cena dove c'era giusto Travaglio più alcuni politici: forse le cene sono diverse dai pranzi, così come i politici sono diversi dai magistrati. Anche se entrambi, in modo diverso, riempiono i libri di Travaglio. Ripeto: fatti loro, anzi suoi. Solo non vorrei che Marco Pendaglio andasse incontro a qualche altra delusione. Prenda l'ormai nota vacanza che nei primi anni Duemila fecero assieme Travaglio, Ingroia e il maresciallo Giuseppe «Pippo» Ciuro.  Sembrava un trio perfetto. Ingroia e Ciuro dividevano l'ufficio al secondo piano del palazzo di giustizia palermitano, d'estate affittavano due villette al mare l'una affianco all'altra; Ingroia indagava su Marcello Dell'Utri, Pippo Ciuro indagava pure lui su Dell'Utri (è colui che il 26 novembre 2002 compartecipò con Ingroia all'interrogatorio di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, dopo aver vergato personalmente un'informativa su di lui) e intanto Travaglio scriveva su Dell'Utri: anche se non è chiaro chi gli passasse le notizie. Il problema è che durante quella vacanza, gentile signora, Pippo Ciuro era già indagato per favoreggiamento di un prestanome di Bernardo Provenzano. L'arresteranno, infatti, tre mesi dopo. E lo condanneranno. Quell'estate, però, Ingroia sapeva già tutto: solo che la Procura gli aveva chiesto di far finta di nulla per non destare sospetti. Lui sapeva, ma Travaglio - assicura lui medesimo - no. Ovvio che anche Ciuro sapesse di se stesso. L'unico che insomma non sapeva un accidente era Travaglio: begli amici che aveva. Uno, Ciuro, passava notizie a un prestanome di Provenzano. L'altro Ingroia, lasciava che l'amico Travaglio ci sguazzasse assieme in piscina con famiglia al seguito. Travaglio in mezzo, ignaro. Un vero segugio. Da quell'anno cominciò a perdere i capelli e a essere ossessionato da quelli altrui.

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