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Prove generali di una nuova mani pulite

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di Gianluigi Nuzzi

Monica Rizzello
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Le notizie che arrivano da Perugia non sono buone per il governo. Non sono buone perché la trama della cricca è lontana dall'essere scoperta nel suo perimetro e quanto arriva sul tavolo del sostituto procuratore Sergio Sottani impatta ogni giorno su ministri o ex ministri. E assomiglia a un “sistema” che inevitabilmente conviveva con la politica. Prima Bertolaso, poi Scajola, ora  Pietro Lunardi vengono chiamati in causa da notizie spesso contraddittorie tra loro, imprecise, talvolta incerte ma il libro nero ancora non è stato aperto. Nessuno, nemmeno le Fiamme Gialle della tributaria di Roma, hanno sviluppato in profondità i 240 conti correnti che costituiscono il cosiddetto “sistema Diego Anemone”. Solo la percezione di ciò che sta accadendo, ovvero che Bertolaso, Scajola, Lunardi rappresentano fascicoli non a sé stanti ma costituenti le prime deflagrazioni, le avvisaglie di un unico fronte d'inchiesta, permetterà una strategia della difesa e della comunicazione. Strategia che finora, invece, ha accusato falle rilevanti rendendo più gravi persino situazioni che al momento non esprimono rilevanza penale. L'assenza di qualsiasi contestazione specifica all'ex ministro Scajola è stato, ad esempio, un elemento mal interpretato o strumentalizzato in modo scivoloso come se la motivazione di questo status abbia un'unica motivazione. La strategia Invece, i motivi possono essere diversi. Potrebbe essere che Scajola non è indagato per precisa strategia investigativa. I pubblici ministeri delegano al momento dell'interrogatorio la scelta dell'eventuale iscrizione a Modello 21. Può anche darsi che Scajola non sia indagato perché si ritiene competente il tribunale dei ministri o, forse, perché il ricevere in regalo una porzione di casa senza aver individuato la possibile “controprestazione” non è di per sé reato. Infine, la terza ipotesi è rivendicata con forza dall'ex ministro: lui di questa vicenda nulla sa a dispetto di quanto sostengono numerosi testimoni. Solo quando Scajola avrà ricomposto le tessere del puzzle avremo qualche certezza nel confronto con l'accusa, ma con la sua deposizione nel capoluogo umbro e dalle determinazioni della procura si avrà l'esatta misura della vicenda. Scajola, a ragione, punta a uscire come testimone dal Tribunale riuscendo così a riscattare un'immagine che pare oggi compromessa. La Procura gli contesterà testimonianze e dati alla ricerca del movente della copiosa generosità. All'orizzonte rimangono comunque alcune contraddizioni clamorose. Nella corsa a sgomitarsi tra interpretazioni catastali, giuridiche e giudiziarie, etiche e politiche del “caso Scajola” si è come perso il quadro di insieme che ora, solo ora con le dimissioni del ministro, si ricompone. Il quadro di insieme che la procura sta ricostruendo dice che siamo di fronte a un sistema dalle protezioni e dalle collusioni assai vaste. Una sorta di colonialismo della cosa pubblica tra lobbysmo e arroganza da posizione. Questa l'accusa. È quindi facile che usciranno altre storie coinvolgendo esponenti politici nazionali. Con un elemento inedito: sino ad oggi il processo pubblico veniva compiuto sulla base di un avviso di garanzia, certa piazza ciondolava all'unisono con le manette. Oggi la rilevanza penale di tutto ciò pare marginale. La scelta di Scajola fa così assomigliare l'Italia a un paese normale: un ministro lascia seppur non indagato, ritenendo la vicenda invalicabile rispetto al percorso da compiere. Ed è una sensibilità della quale bisogna dar atto al politico ligure, capace di far un passo indietro per non creare smottamenti più profondi. Questo almeno negli intenti. Macchina spietata La nostra impressione, invece, è che le dimissioni non mutano gli sviluppi. Siamo di fronte a una macchina giudiziaria inedita nell'efficacia, nella determinazione e nel valore ad alto impatto mediatico, si legga bene mediatico, delle notizie raccolte. Achille Toro il procuratore aggiunto di Roma è stato messo alla porta. Il generale Pittorru che nella Guardia di Finanza non è esattamente un due di briscola è finito indagato. Insomma, c'è un gruppo investigativo tra Roma, Firenze e Perugia che non batte i tacchi sull'attenti come accadeva a casa di certi indagati durante le perquisizioni solo ieri l'altro. Non ci sono più certi filtri, certi contrappesi che regolavano i rapporti tra tribunali e politica visto che chi viene indicato dagli inquirenti come il protagonista di questi equilibri, ovvero proprio Toro è rimasto coinvolto. Infine chi indaga seppur spogliato della competenza territoriale dal proprio giudice. Sergio Sottani è un magistrato cresciuto all'ombra di Silvia Della Monica, oggi senatrice del partito democratico. Con lei ha firmato carte importanti dell'inchiesta su Giulio Andreotti per l'omicidio di Mino Pecorelli. Sottani conosce bene l'humus delle vicende avendo già in passato indagato proprio su Toro e Gianni Consorte per poi archiviare.

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