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Taxi, no a sciopero selvaggio Ma protestano per campare

Hanno messo in tilt le città con metodi sbagliati, ma moltiplicare le licenze non garantisce né tariffe basse né la rirpesa

Lucia Esposito
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Come prevedibile, lo sciopero dei tassisti contro il piano di liberalizzazioni del governo è degenerato e ha messo in mostra uno spettacolo poco edificante. I toni della protesta sono stati violenti, con insulti al governo, cartelli contro Monti, e in alcuni casi mani addosso ai «crumiri» e danneggiamento delle loro auto. Utile dire che così  non si fa,  anche se è pur vero che le maniere forti hanno avuto successo: lo sciopero ha paralizzato le più importanti città italiane e incontrando il premier, Pdl, Lega, ma anche Terzo Polo, gli hanno chiesto di andarci piano con tassisti e farmacisti.  Ferma la condanna di violenza e toni da guerriglia, sarebbe scorretto non sottolineare che qualche ragione in tanta rabbia c'è.  In che cosa consista la liberalizzazione dei taxi che ha in testa Monti e in che modo essa possa contribuire a un rilancio economico dell'Italia infatti, non è ben chiaro. Al momento non si vede che uno slogan sotto il quale c'è solo una moltiplicazione delle licenze senza nessuna garanzia di un abbassamento significativo delle tariffe.  Il numero delle licenze viene stabilito dai Comuni in base alle esigenze di ciascuna città ma non risulta che il governo dei professori abbia fatto uno studio serio (e per la verità  neppure uno approssimativo) sulle differenti realtà urbane, ipotizzando quante nuove vetture ogni piazza sarebbe in grado di assorbire, con che impatto sui redditi dei tassisti, quale miglioramento del servizio e quanto vantaggio ne ricaverebbero le tasche degli utenti. Battaglia per la pagnotta - Quella dei tassisti è una lobby certo… Qualcuno poi  talvolta è un po' brusco, il taxi è caro, la categoria non gode dei favori dell'opinione pubblica e quello delle licenze ha l'aria di un suk più che di un mercato.  Ma questa lobby ci dà almeno la ragionevole certezza che al volante a riportarci a casa la sera tardi non ci sia un pregiudicato o uno stupratore e ci garantisce che gli euro che sborsiamo li diamo a un cittadino come noi, vessato dal fisco e dal traffico  e non - ed è un'ipotesi realistica in caso di vera liberalizzazione -  a un magnate russo o cinese che compra a metà prezzo mille vetture e le fa guidare a un pakistano  o a un filippino a cui dà 40 euro al giorno.  Sotto Palazzo Chigi, uno dei teatri della protesta, ieri spiccava un cartello: «Siamo operai e ci rubano il lavoro». Un altro recitava: «Basta prendersela con le fasce deboli».  Non sono frasi provocatorie. Quella che i tassisti stanno combattendo con violenza è una lotta per la vita non diversa da quella degli operai di Fincantieri e di Fiat Pomigliano che tanta solidarietà e simpatia hanno suscitato in molti benpensanti e progressisti.  Un tassista in media paga una licenza quanto due master alla Bocconi tanto cara al premier rettore. Per ottenerla quasi sempre fa un mutuo, che si aggiunge a quello della casa e al leasing per l'auto e se va bene a fine giornata ha in tasca 250 euro, di cui 50 se ne vanno in benzina (28 dei quali in tasse sulla benzina) e 80 in imposte e contributi. La liberalizzazione comporta un e crollo del valore della licenza e il governo non può paventare a un lavoratore l'annullamento dell'investimento di una vita senza spiegare contestualmente come intende tutelarlo. Insomma, l'impressione è che il settore più che di liberalizzazione, avrebbe bisogno del suo opposto:  regolamentazioni e garanzie.  Cattivo esempio  - I tassisti con fischi, urla, pugni fra colleghi e blocchi selvaggi non hanno dato un bell'esempio. Il tassista poi che si vantava al tg di evadere il Fisco per sopravvivere è stato uno spot infelice. Ma non dimentichiamo dove tutto questo è avvenuto. L'Italia è il Paese che ha descritto come eroi, celebrato in tv e difeso in piazza e Parlamento i tre operai  che a Melfi hanno sabotato la catena di montaggio per protestare contro il piano Marchionne. Per decenni sono stati e sono tuttora tollerati e impuniti i blocchi di ferrovie e autostrade che lavoratori e sindacati  fanno per sensibilizzare e rendere compartecipe l'opinione pubblica delle loro disavventure, e che quanto a interruzione di pubblico servizio creano più disagio di un bloccao dei taxi. Giustifichiamo violenze e sabotaggi dei no Tav, scambiando facinorosi per ambientalisti. Gli operai Fincantieri da settimane paralizzano Genova con la solidarietà collettiva. Quando gli studenti protestano contro le riforme di scuola e atenei e bloccano le lezioni, i nostri politici salgono sui tetti per dar loro manforte, difendendo un'università che fa schifo. Degli sfaccendati che un sabato pomeriggio dello scorso ottobre hanno messo al sacco il centro di Roma, picchiato poliziotti e danneggiato negozi non ne è rimasto in cella uno. Quando si protesta in Italia, da sempre è lecito tutto: la civiltà è lasciata al garbo dell'individuo. Non è bello ma è la verità. L'esempio viene dall'alto: dai giornali che soffiano sul fuoco, dai sindacati, da chi in Parlamento per un pugno di voti giustifica violenze, insulta e spara corbellerie. Inutile indignarsi se chi teme di essere rovinato dà in escandescenze. di Pietro Senaldi

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