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Selvaggia Lucarelli: Elogio di Arisa, cantante controvento

Giulio Bucchi
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Ho capito che gli equilibri nella musica italiana sono definitivamente mutati quando ho letto la sceneggiata di Piero Pelù a Tv Sorrisi e Canzoni. El Diablo, il maledetto, il cantante che puzza di zolfo e sudore, quello che gira inguainato nei pantaloni di pelle anche con cinquantadue gradi e cinquantadue anni percepiti, ha sbattuto i pugni sul beauty-case perché in foto è venuto male. Perché non si piace. Perché non gli hanno fatto controllare lo scatto prima. O quando Ligabue s'è messo a cantare sul palco dell'Ariston pettinato come Justin Bieber con Fazio che gli ballava dietro. Ecco. Lì ho capito che non ci sono più i rocker di una volta. Che la trasgressione, quella fatta di coraggio, ribellione e provocazioni veraci, oggi in Italia appartiene ad un solo personaggio nel campo musicale. Appartiene ad Arisa. E non storcete il naso perché ha più coraggio Rosalba Pippa da Pignola che il novantacinque per cento di tutta la sterminata mandria di attrici, comici, cantanti e ballerini che popolano il tubo catodico. Ha iniziato che pareva Ugly Betty, con l'aria di quella che alle feste di classe riceveva meno inviti a ballare un lento lei della scopa. Si presentava vestita da campagnola bon ton, canticchiava «Sincerità» o «Malamorenò», due canzoncine buone da fischiettare sotto una doccia (chimica) e rispondeva alle interviste con la vocina di colei che aveva appena dato due boccate d'elio. Insomma, la guardavi e ti auguravi che finisse inghiottita al più presto nello stesso buco nero in cui sono stati risucchiati i Jalisse o i Neri per caso o i Dirotta su Cuba o Gemma del Sud. E invece non avevamo capito niente. Mentre noi, stupidi, stavamo prendendo le misure del suo naso, Arisa stava prendendo le misure del successo. Fiutava, si guardava intorno, imparava le regole. Sostanzialmente, decideva di farsi accettare e farsi spalancare la porta della popolarità per poi creare un gran casino dal di dentro. Che poi è lo stage di tutte le schegge impazzite che si rispettino. Tu pensi d'aver fatto entrare in casa Bambi e invece ti ritrovi l'Anticristo. I primi segnali decisivi della mutazione da nerd a scheggia, sono arrivati con X Factor. Intanto, Arisa ha avuto un infighimento che neanche Franceschini prima e dopo la barba. E quando una donna si infighisce in quel modo, quando una passa dall'essere Betty la cozza a Arisa la gnocca, vuol dire che è capace di tutto, dall'entrare nell'arco di un mese in una taglia quaranta a sfanculare con un totale sprezzo del pericolo il coach più irascibile della storia dei talent, dalla naumachia di Giulio Cesare ad Amici di Maria De Filippi: Simona Ventura. E infatti, col suo «Sei falsa Simona cazzo!» Arisa è entrata a pieno titolo nella storia degli impavidi che hanno saputo sfidare l'impossibile: Davide contro Golia, Leonida contro la Persia, Cuperlo contro Renzi, Arisa contro Simona Ventura. E nonostante il gesto le sia costato l'epurazione dal talent più bello della tv - perché una donna a cui hanno falciato il nonno sulle strisce pedonali sa perdonare, ma la Ventura no - Arisa non ha battuto ciglio e ha proseguito per la sua strada. Dritta si fa per dire, visto che sui tacchi ha l'andatura di Johnny Depp all'uscita da un'enoteca. Nel frattempo si molla col suo fidanzato, che poi è quello che le ha scritto tutte le canzoni fino a quel momento compresi i motivetti demotivanti, e si consola con un altro, tal Lorenzo, il quale a dirla tutta è pure piuttosto figo. I giornali la ritraggono con lui per strada e le limonate immortalate dai paparazzi sono così focose che l'ugola di Arisa la vediamo per la prima volta sui giornali di gossip, anziché sul palco mentre canta. Noi la pensavamo a letto nella sua sottana di lino bianco col buco al centro come le vergini di una volta e invece è molto probabile che Arisa abbia una vita sessuale ben più vivace della nostra. E di quella di Piero Pelù. Intanto alla scheggia Arisa riesce un altro miracolo, che è quello di tenersi l'ex fidanzato come autore delle sue canzoni, e questo di rimanere soci degli ex, è un talento che in Italia è universalmente riconosciuto a sole due categorie umane: le gatte morte e Casini. Poi arriva Sanremo 2014. Mentre Noemi si presenta vestita da gemellina di Shining, Arisa veste Jil Sander. Ha l'aria imbronciata e sfrontata di quella che sta lanciando un preciso messaggio al popolo: «Ero un fumetto e ora sono un'icona minimal chic. Avete creduto a tutto, al milione di posti di lavoro, al metodo Stamina, alla conversione di Sara Tommasi e ai vantaggi della Tasi, potete credere anche a questo». Noi, in effetti, ci crediamo a tal punto che «Controvento» e le sue décolleté gialle, riescono a polverizzare perfino gli scolli a V con pelo strategico di Renga, gli acuti di Gualazzi e i contorsionismi al piano di Rubino. E dopo aver steso tre uomini con un brano del suo ex uomo, stende anche il quarto, Fazio, che prova a far leva sull'emozione della vittoria e si sente rispondere: «Sì, mi aspettavo di vincere, ero qui per questo. E non mi scompongo, io sono così». Morale: Sorrentino agli Oscar ringrazia pure Maradona emozionato come un adolescente e lei a momenti col palmizio d'oro ci si gratta la schiena. Ma il panzer Arisa non si ferma qui. Il giorno dopo va dalla Venier per le celebrazioni di rito, le mostrano un video in cui la madre racconta di come era da piccola e lei esce di scena incazzata come una biscia. La Venier la implora di tornare ma Arisa è già al casello Imperia est. Dirà in seguito che la tv delle lacrime e del gossip le fa orrore. La Venier, altra creatura incline al perdono quanto la Ventura, Putin e l'Idra a tre teste, va dalla Bignardi e in mezz'ora di intervista, per ventinove minuti lancia anatemi ad Arisa. Una roba che se fossi Arisa cambierei nome sul passaporto e me ne andrei a vivere in una comunità di Quaccheri in Pennsylvania. Ad Arisa, invece, tanto per cambiare non frega un'emerita cippa e continua beata la sua promozione, incurante di battutacce sul suo cognome e delle regole del gioco. E anche del sottotitolo che i nemici illustri hanno dato al suo nuovo album «Se vedo te». Sì, Se vedo te (ti meno). Avanti così Arisa, sei tutti noi. di Selvaggia Lucarelli

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