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Vanity Georg, choc in VaticanoIl vescovo più cool finisce in copertina

La copertina che Vanity Fair dedica padre Georg Gänswein

Il 57enne vescovo tedesco è consigliere di Papa Ratzinger dal lontano 2003. Il settimanale gli ha dedicato un servizio dal titolo: "Essere bello non è peccato"

Nicoletta Orlandi Posti
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di Giordano Tedoldi Avrà mai letto, padre Georg Gänswein, quel caustico romanzo di Thackeray, La fiera delle vanità? O quel Satyricon newyorchese scritto da Tom Wolfe, Il falò delle vanità? E gli sarà capitato in questi mesi, tra una photo opportunity e l'altra, nell'astrale ascesa del suo prestigio e anche della sua immagine, di soffermarsi sugli squassanti versetti dell'Ecclesiaste: «Vanità delle vanità dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità»? Che sgarbati, tre domande insidiose, quasi fossimo sulle orme delle «dieci domande» di Repubblica a Berlusconi.  E poi, che senso ha agitare davanti al fresco vescovo nonché prefetto della Casa Pontificia il demonio tentatore della vanità. Lui conoscerà rimedi sicuri per esorcizzarlo. Altrimenti non si spiega la disinvoltura con cui il suo volto appare sorridente, con la capigliatura sbarazzina, gli occhi cilestrini, sull'ultima copertina di Vanity Fair, mensile, ci dicono, non sgradito agli uomini che praticano il sesso simboleggiato, ad esempio nei dipinti di Bosch, dalla cornamusa (al tempo dell'oscurantismo, lo si chiamava contronatura).  Ma non di contronature e cornamuse ci interessa, figurarsi, però di questa nuova strategia dell'immagine in cui il Vaticano si sta impegnando, sì, ci appassioniamo addirittura.  Perché in fondo è sempre la solita, antica questione: se sia più importante la purezza del messaggio o la sua diffusione, o anche divulgazione, ben sapendo che ogni diffusione o divulgazione, inevitabilmente, quel messaggio impoverisce o inquina. Per esempio, una copertina su Vanity Fair può costare di sentirsi affibbiare il sottopancia di «George Clooney di San Pietro»,  e l'ammiccante definizione di «Monsignore particolare», con quel «particolare» che apre a ogni possibilità, anche le più esotiche e irriverenti. Sul fatto che ci sia disegno intelligente dietro l'affacciarsi del Papa su Twitter così come quello di padre Georg sulla copertina di un mensile per uomini non ostili all'edonismo, non nutriamo alcun dubbio. È una volontà precisa e, almeno per quel che riguarda il Papa (e almeno per quanto attiene alle questioni di fede) anche infallibile.  E questo cozzare di volontà infallibile o ispirata, questo carisma di un destino celeste che si compie sulla terra, veicolato però su un social network o una copertina di mensile che ospita regolarmente rubriche ricostituenti per bicipiti mosci, pubblicità di profumi e diete per il dopo-palestra, un po' ci sbalordisce. Siamo agostiniani osservanti, pertanto non riconosciamo il male in nulla che esista, nemmeno in Vanity Fair. Anche quello viene da Dio. Ma tra tante cose (tutte) che vengono da Dio, proprio da lì doveva padre Georg sorriderci?  Evidentemente siamo ottusi, non cogliamo il disegno intelligente, la necessità che sì, proprio quello fosse lo strumento giusto, ispirato, efficace. Non ci facciamo una ragione, limitati e peccatori, del fatto che proprio i lettori di Vanity Fair, che alla bellezza danno un significato forse epidermico, proprio a loro bisogna predicare che la bellezza è spirito, è quel «vetro pulito» cui si paragona padre Georg, che attraverso la sua limpida trasparenza lascia manifestare il significato profondo della fede. E che quel vetro «se non si vede proprio, vuol dire che svolge bene il suo lavoro». Ma di nuovo siamo confusi: se non si deve vedere, il vetro, perché si mostra in copertina su un mensile di forte richiamo per gli occhi? Ma che vogliamo capire noi, di queste sottigliezze teologiche! Non abbiamo studiato abbastanza.  Dovremmo chiedere udienza privata a padre Georg, per essere ammaestrati sul grado esatto di trasparenza del vetro, né troppa (col rischio che ci si vada a sbattere contro, come nelle comiche) né poca. Però, per umiltà, non chiederemo mai un tale privilegio. Vogliamo restare nel dubbio, interrogarci, non giudicare. Un piccolo tentatore ci insinua che avevamo visto giusto, all'inizio, parlando di vanità.  Un poco di vanità non è eliminabile, è annessa alla carne così come la perfezione a Dio. Tutto è vanità, non c'è fuga.

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