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"Punita l'arroganza dei co...". Farina pialla Tulliani jr: cosa rischia nella cella araba

Giovanni Ruggiero
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Alla fine ci tocca elogiare gli arabi, e lo facciamo con convinzione. Qualsiasi sia la religione e l' etnia di chi pratica la giustizia, noi ci inchiniamo a chi punisce l' arroganza dei coglioni. A Dubai, capitale degli Emirati arabi uniti, la polizia con la mezzaluna ha - come abbiamo raccontato ieri - eseguito il mandato di arresto internazionale decretato dal Gip di Roma contro Giancarlo Tulliani. In passato, il furfantello in fiore aveva sempre trovato i gendarmi dalla sua parte. A Montecarlo era riuscito a spingere i fantaccini del principe Alberto, con il consenso della nostra ambasciata, ad arrestare non lui, ma chi ne stava rivelando la mascalzonaggine, e cioè Gian Marco Chiocci. Il nostro valente collega era colpevole niente meno che di infastidire le sue passeggiate, addirittura investigando sulle sue attività e provando persino a fargli le domande che le nostre toghe neppure si sognavano di porgli. Figuriamoci. Allora non si poteva. Giancarlo era l' adorato fratellino della compagna di Gianfranco Fini. Il quale allora si sentiva, e lo era effettivamente, rivestito d' impunità dal Quirinale e dalla magistratura, poiché da presidente della Camera e neo pupillo della sinistra che prometteva di sgambettare Berlusconi. Pensava di sostituirlo, ma ha scoperto troppo tardi di essere solo il primo stadio sciocco del razzo a testata Monti, e si è infranto al suolo come una boccia dell' albero di Natale. Neppure è stato rieletto, e la corazza dell' invincibilità è caduta sui calli suoi e dei suoi cari, ohi che dolor! A quel punto, ovviamente, la Procura di Roma si è decisa a prendere sul serio le evidenze criminali che le inchieste del Giornale, diretto da Vittorio Feltri, avevano snudato a proposito dell' appartamento monegasco e dintorni. E scavando sono saltati fuori altri scheletri, di cui Fini si professa innocente, e ne ha il diritto, fino a eventuale condanna processuale. L' ARRESTO Lasciamo perdere Fini e i suoi cupi pensieri. Ne aveva di più allegri e sbrigativi il cognatino, che è balzato dalla Costa Azzurra, con il suo principe pelato, alla sfolgorante patria dei petrodollari coi suoi emiri imbacuccati. Ed ecco l' arresto. Non se l' aspettava. Non ci poteva credere. Ma come: proprio lui? Un devoto consumatore di champagnini nei ritrovi con danza del ventre? Com' è possibile? È possibile se si fanno girare le scatole agli arabi, i quali sono buoni e belli con i ricchi, finché non li seccano con le loro carognate. Per chi non avesse seguito le ultime mosse del cognato più stupidamente famoso d' Italia, ma ormai anche del Golfo Persico, le sintetizzo. Il giovanotto era noto fosse latitante a Dubai, a spendere i suoi milioni, esito dei piaceri che la famiglia Fini aveva fatto (secondo l' accusa) ad un imprenditore del settore slot machine. Una furbata: lì non esiste trattato d' estradizione con l' Italia. O almeno è stato abbozzato ma non ancora ratificato dal parlamento italiano. Dunque Tulliani si credeva in una culla fatata. Finché è andato a cercarlo una troupe della nuova trasmissione su La7 di Massimo Giletti. Come? Non bastava a Montecarlo? Pure qui vengono. Tulliani è andato direttamente dai capi della polizia emiratina. E ha sporto denuncia, all' incirca con queste parole: uno stimato vostro ospite è infastidito da giornalisti occidentali, che turbano la giusta quiete di noi ricchi in fuga da Montecarlo. I funzionari hanno controllato il suo nome sui terminali. Fino ad allora sapevano di certo che fosse lì, ma facevano finta di nulla, un po' per non avere rogne, un po' per non scoraggiare altri polli da spennare localmente con belle donne e cotillon. A quel punto, trovato il nome, visto che era ricercato, hanno eseguito l' arresto con soddisfazione di tutti. Tulliani ha avuto il suo premio: mai costringere gli arabi a lavorare, s' incazzano, e ti ammanettano. FERMO DUE «GIRI» Un regalo fin troppo leggero: Giancarlo Tulliani se la caverà con una galera di due mesetti, Non di più. Il tempo per le autorità giudiziarie locali di verificare se esistono le condizioni per l' estradizione in Italia. Le pratiche dureranno un paio di mesi. Poi dovranno liberarlo: mai più il nostro Parlamento si sveglierà adesso (o no?). Di certo Tulliani quasi con voluttà si è consegnato al suo destino cretino, convinto che il nome di un italiano con la Ferrari e il cognato un tempo importante, fosse ancora uno scudo per farla franca, trattando la polizia di tutto il mondo come una specie d' internazionale di body gard al suo servizio. È finito nelle mani fustigatrici degli arabi, che non è mai una bella cosa, ma per sua non meritata fortuna ha trovato quelli che non tagliano la testa né ai cristiani e, nel nostro caso, neppure ai Tulliani. A Dubai non c' è il Califfo altrimenti il problema sarebbe risolto, infatti com' è noto nell' Isis non va fortissimo il garantismo. Intanto, non so a voi, ma a me un motivetto della nostra infanzia mi batte in testa all' improvviso: «Tutti, tulli, tulli pan».... Saremo crudeli, perché non è mai da festeggiare il carcere di nessuno, ma in quel che è capitato nelle scorse ore sotto il segno di Allah, scorgiamo un' inedita alleanza tra Bibbia e Corano. E siamo favorevoli al dialogo, specie tra le polizie. di Renato Farina

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