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Tutti i fiaschi di Michelle:storia di una Re Mida al contrario

Dal premio a venezia per l'orrendo "Goodbye Mama" alla più brutta fiction del mondo: "Donne in gioco": la bulgara è una collezionista di flop

Matteo Legnani
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Questa è la conferma: Dragomira Michelle Bonev detta Michelle è quel tipo di donna che s'incontra una sola volta nella vita. Se proprio sei sfigato, due. Premettiamo: in tema di "Berlusconi-e-le-donne" siamo talmente abituati al surreale che l'intervista a Servizio Pubblico della pur brava Francesca Fagnani alla bulgara venuta dall'impossibile sembra soltanto lo squarcio d'una commedia sexy di Lino Banfi ("ma Venezia non ti piacerebbe? Ora parliamo col ministro Bondi...". Fantastico). Per non dire delle dichiarazioni sul presunto lesbismo di Francesca Pascale; la qual cosa, invece di fare scandalo, al limite, al giorno d'oggi, potrebbe essere un atout. Ciò detto, ribadiamo che frequentare la Bonev  t'appiccica addosso una iella pazzesca. I fatti sono incontrovertibili. Il primo ad incontrarla fu Pippo Baudo il quale, anni fa, si trovò imbucata nel Dopofestival di Sanremo questa ex lavorante alberghiera e ballerina di night spacciata per grande attrice di un film ancora da fare e scrittrice di un libro ancora da scrivere. La colpa fu, ad essere onesti, dell'allora direttore generale Rai Agostino Saccà affascinato e al tempo stesso impietosito da questa novella Moll Flanders a cui la vita aveva tolto tutto, tranne la tenacia, e le tette. Dopodichè, ad incocciare nella Bonev toccò a Carlito Rossella. Rossella, da direttore di Panorama, ne presentò la pregevole opera Alberi senza radici (Mondadori) da cui il brano: «…comincia a offrire il fiorellino che tieni tra le gambe in cambio di denaro». Giampiero Mughini la liquidò come «una porcata inenarrabile»; per i vertici Mondadori, invece si trattava dell'espressione di un raro realismo narrativo. Il terzo incontro con la Bonev avvenne -come da promessa - con Sandro Bondi, ministro dimenticabile della Cultura, che a Venezia le fece avere un premio appositamente inventato per il suo film sulla Bulgaria Goodbye Mama,  roba che nessuno ovviamente aveva mai visto. A quel tempo si descrisse la Bonev come una che credeva nei valori; e per certi versi era vero, dato che la signora  ricevette un milione di euro sganciati da Rai Cinema per finanziarne la pellicola sponsorizzato dal dicastero, chez l'altrettanto dimenticabile direttore generale Rai Masi. A Goodbye Mama  furono assegnati riconoscimenti alla cieca. Anzi, alla bulgara. Bonev  riuscì ad inventarsi una categoria: non più l'opera prima ma la promessa d'opera prima. La stampa, maligna, parlò di «una escort di 400mila euro»; sintesi giornalistica non corrispondente al vero, non s'è mai capito bene se dal lato semantico o del calcolo numerico. Non paga, Michelle, allargò il network delle conoscenze «per dimostrare il mio valore (artistico, ndr)». Anche perchè le conoscenze prima  accumulate caddero, una ad una, in un ovattato oblio. E il suo quarto incontro lavorativo fu con Giancarlo Scheri, persona perbene, intellettuale e ottimo direttore di Canale 5 che mandò in onda Donne in gioco, epica saga tinta di noir diretta, prodotta e sceneggiata dalla Bonev stessa. Si trattava d'una fiction riassumibile in due stolide righe. Una poliziotta moglie e madre aiuta una signorina dell'est, prostituta per vizio di gioco, ad uscire dal tunnel. Però, nel tunnel ci andarono i telespettatori, e gli attori. Dialoghi terrificanti in un italiano sghembo, inquadrature da tv tedesca  -sempre dell'est - anni '70, interpretazioni canine: questo era il prodotto. Prodotto non facile, perchè Bonev riuscì a tirare fuori il peggio da ognuno dei suoi attori, escluso il possente Lando Buzzanca, che ha omesso l'esperienza dal curriculum. La fiction più brutta del mondo. Oggi sono preoccupato per l'amico Scheri, ultimo toccato dalla luce di Michelle; ma vedo che rimane saldamente in sella, e tiro un sospiro di sollievo. Per il resto, al di là  del coté boccacesco, di tutta questa storia che si commenta da sé -senza bisogno di Santoro - emerge soprattutto una sensazione. Di irriconoscenza. E di tristezza infinita... di Francesco Specchia

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