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Gianfranco Fini, la tragica fine al processo per riciclaggio: l'errore che si perdonerà mai

Gino Coala
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Aveva il mondo in mano, perlomeno quello del centrodestra italiano, che allora corrispondeva al sentimento maggioritario degli elettori, e probabilmente anche adesso. Invece, negli ultimi cinque anni e mezzo è solo “andato a letto presto”, come il Noodles/De Niro di “C'era una volta in America”, prigioniero della grandezza che non è mai stata. E ultimamente è probabile fatichi persino a prendere sonno. Sì, perché Gianfranco Fini, colui che nell'universo alternativo dei "Se sarebbe oggi l'erede di Berlusconi", ieri ha sostenuto la prima udienza del processo che lo vede imputato per riciclaggio, davanti alla Quarta sezione penale del Tribunale di Roma. Rischia fino a dodici anni di carcere. Leggi anche: Fini, dove l'hanno beccato i paparazzi: come si è ridotto Con lui sono state rinviate a giudizio altre dieci persone, tra cui la compagna Elisabetta Tulliani, il fratello di lei Giancarlo, il padre Sergio. Comparse della cronaca, lontanissime dai palcoscenici della storia che lui voleva e probabilmente poteva calcare. Capi di Stato esteri, strette di mano, editoriali politici attorno al suo nome al posto dei trafiletti nelle pagine di giudiziaria, bagni di piazza e di consenso invece che docce gelate a spegnere il suo Ego, ogni giorno di più. Un paria di quel circo mediatico in cui sguazzava con dialettica agilità appresa alla scuola di Almirante (ma la fibra, quella non si impara, Gianfranco), fatta eccezione per i processi e gli scandali, ormai ridotti a scandaletti, non c'è la fascinazione demoniaca del male, c'è solo la nausea quotidiana del malessere. Lì le luci della ribalta si riaccendono, ancora e ancora, in una coazione a ripetere del danno e della beffa. Tutta colpa della casa di Montecarlo, direte. Sì, certo, l'affaire che spogliò di ogni credibilità apparente l'uomo di partito e delle istituzioni (e in politica l'apparenza, ciò che si manifesta davanti all'elettore, è pressoché tutto) è anche la grana al centro del processo. Eppure, non si esaurisce lì, la spiegazione. POLITICA E PSICANALISI Quello fu l'acme di un caso che appassionerà ancora per molti anni, perché scomoda la psicanalisi, molto più che la politica, interroga il materiale primordiale di cui è impastato quel legno storto che è l'essere umano, e racconta di come tutta questa massa emotiva può essere efficacemente messa al servizio del proprio spettacolare harakiri pubblico. L'ambizione, la fretta dell'atto che si mangia tutte le potenzialità, il narcisismo estremo, lo scollamento finale dalla realtà. Pugnalo Berlusconi. Perché, se sono il principe ereditario? Perché ridurmi a un congiurato tra i tanti, peraltro a disposizione di congiure altrui? Mi fido di Napolitano. Dio mio, fa impressione solo a scriverlo. Mi fido di Napolitano. I numeri ci sono, organizza il golpe in aula, Silvio va ai giardinetti. I numeri non c'erano, e ai giardinetti c'è finito lui, se gli va bene il processo. IL TERZO POLO In mezzo, un crescendo di mosse autodistruttive che avrebbe stupito perfino Leopold von Sacher-Masoch, lo scrittore che ha dato il proprio nome alla perversione del “masochismo”. Tra le più pirotecniche, il progetto sconfitto in partenza di un impalpabile Terzo Polo insieme a Francesco Rutelli, colui contro il quale iniziò tutto, la sfida a sindaco di Roma e la frase di Berlusconi, «tra Fini e Rutelli voterei Fini», che sdoganò un mondo per sempre. Quello che poi lui ha pensato di portare in dote a una coalizione chiamata “Con Monti per l'Italia”, un ossimoro involontario, visto che Monti l'Italia aveva appena finito di massacrarla. Risultato: Futuro e Libertà allo 0,47% dei consensi, siamo alla fisica delle particelle e alla morte politica del nostro. Dalla marea del centrodestra con vista Palazzo Chigi, allo stagno delle occasioni mancate, dell'avvenire che si ritrae, del risentimento personale mascherato dalle comparsate in veste di opinionista, sempre più sporadiche. Fino all'udienza di ieri. È un romanzo di formazione all'incontrario, il resoconto di come un destino fortunato può sfuggire tra le mani ad un uomo, ed è peggio di qualsiasi processo. di Giovanni Sallusti

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