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Sardine, Sergio Echamanov lascia il movimento di Mattia Santori: "Tutti capetti"

Pietro De Leo
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Attenzione, caduta totem a sinistra. Mentre Mattia Santori, leader delle Sardine, quello che pensava di cambiare il mondo con l'erasmus tra Nord e Sud Italia, discetta di alleanze locali nei tour nelle regioni prossime al voto, ecco un addio eccellente. Se ne va, infatti, Sergio Echamanov. Perentorie le sue parole in un'intervista al Corriere di Bologna: «Lascio le Sardine perché, in base alla mia esperienza, posso dire che non sono un movimento democratico. Inoltre negli ultimi tempi prevalgono i fraintendimenti e la confusione». E ancora: «Molte decisioni calate dall'alto avevano già iniziato a farmi storcere il naso ma adesso non ascoltano più nessuno. Tante iniziative recenti delle Sardine non sono state concordate». E fin qui, sono dichiarazioni affini ad altre di esponenti della prima fase gloriosa che poi hanno sbattuto la porta (tipo il promotore della manifestazione di piazza San Giovanni a Roma Stephen Ogongo). Ma per comprendere ancora meglio il significato di tutto questo occorre ricordare il profilo di Echamanov, figura non certo memorabile ma neanche trascurabile di questa piccola epopea generazionale di sorrisi, gaffes, Bella Ciao e vuoto pneumatico. Siamo a San Pietro in Casale, nel bolognese, esterno giorno.

 

 

Durante una manifestazione delle Sardine c'è un ragazzo che prende la parola, ma purtroppo si incarta, non riesce ad andare spedito, alla fine il liberatorio canto partigiano lo toglie dalla difficoltà. Erano i giorni di campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna. Quel ragazzo è proprio Echamanov. Un segmento di quel comizietto disastroso viene postato sui profili social di Salvini e da lì sul ragazzo si abbatte una gragnuola di insulti virtuali, la cui gravità risulta ancora più intensa quando si viene a sapere che il ragazzo soffre di dislessia. Da lì, partono la contraerea di politici, giornalisti, intellettuali contro Salvini, le ben note accuse di cattivismo verso i militanti leghisti (come se poi i commentatori social di sinistra fossero suore orsoline) e il campionario di censura morale, tanto che lo stesso leader della Lega, durante una puntata di Non è l'Arena di Giletti, definisce «un errore» la pubblicazione di quel post.

Segue processo di canonizzazione in vita del ragazzo, ad un livello tale che non poteva non scapparci l'effetto boomerang. Sì, perché lui prima ebbe a dichiarare che la sua avvocatessa gli aveva suggerito di mollare il lavoro, salvo poi ritrattare tutto, giustificandosi così: «Ho avuto un refuso, dovuto al grande stress e ai tempi stretti». E dunque in balia del non meglio precisato "refuso" avevamo visto andar in dissolvenza, come un film avviato ai titoli di coda, l'immagine di Echamanov in un video sul web, assieme a Santori e ad un'altra prima fila del movimento, mentre ringraziava i compari per il sostegno morale assicurato nel momento difficile. Sì, perché anche per quell'istantanea di compassata emotività è arrivata la nemesi. «In un primo momento - dice ancora Echamanov al Corriere - mi sono stati vicini, non posso che confermarlo. Ma a poco a poco mi hanno lasciato andare». In poche parole, lo hanno scaricato. Dando prova di una legge inconfutabile, ossia che è assai aspro il cinismo dei buoni per forza.

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