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Se Monica Cirinnà dice che il Pd ha un problema con le donne

La senatrice del Pd candidata a sindaco di Roma attacca il suo partito . Ma non ha torto

Francesco Specchia
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Cosa c’è di sghembo, in fondo, nell’ira della senatrice del Pd Monica Cirinnà, autocandidatasi alla guida del Comune di Roma post- Raggi? Una che, all’improvviso, sbotta contro il suo meditabondo segretario di partito Nicola Zingaretti colto nell’atto di non filarsela nemmeno di pezza?

 

«La domanda è: per quale motivo lo stato maggiore del tuo partito ti ignora o comunque cerca di sostituirti con un altro nome?» s’arrovella  la Cirinnà intervistata da Gianluca Fabi, alla trasmissione L’Italia s’è desta su Radio Cusano Campus «intanto sono usciti solo nomi di uomini, sotto sotto questo Pd sulle donne ha ancora un sacco di problemi. Ho fatto 20 anni la consigliera, 7 anni la senatrice, ho un’azienda, non sono la signora nessuno. Fatemi concorrere, poi se trovate uno più forte di me sono contenta, ma almeno cominciate a muovervi, fate un sondaggio, mettete in campo questi 4-5 nomi, da Jeeg Robot ai nani, e vediamo chi è più convincente. Ma partiamo. Io lealmente sosterrò il migliore.  Io non sono preoccupata di amministrare Roma perché in tutta la vita ho usato il metodo delle formiche, che sono potentissime perché sono migliaia e nessuno è leader di se stesso. I lupi hanno un capobranco, ma dipende dal branco tutti i giorni rinnovarlo come capo..». Ma lasciamo stare le metafore zoologiche dei Dem (lupacchiotti, capobranco, odore del sangue, estinzione, ecc..) e quelli dei robottoni giapponesi. E lasciamo stare la Cirinnà a cui si deve un’ottima legge sulle unioni civili. Cirinnà, già docente di diritto all’università, sgomita, con impeto che fa molto femminismo alla Susan Sontag. Ma ha le sue ragioni: il Pd, in passato, ha candidato cani e porci, non si vede perchè non possa candidare lei. E, tra l’altro, anche gli altri candidati, Caudo, Ciaccheri, Zevi, pur non essendo notissimi, una volta esclusi big come Calenda e Letta possiedono degli atout.

 No, qui il problema è un altro. «Sotto sotto, questo Pd, sulle donne, ha ancora un sacco di problemi[». Il Pd ha davvero problemi con le donne? Qualche tempo fa, fece emergere il caso il placido ministro del Sud Giuseppe Provenzano. Il quale diede forfeit ad un convegno il cui panel  era composto di soli maschi. Ma Provenzano è rara avis. Nessun ministro o sottosegretario o segretario a sinistra ha mai disertato la convegnistica women-free a cominciare dagli Stati Generali di Villa Pamphili dove le “menti brillanti” in platea erano -parliamoci chiaro- tutte maschili, da  Fuksas a  Piano a Oscar Farinetti. Nessuno tuonò, tra i Dem, davanti alla foto, a Sulmona, in cui tra governatori e notabili Pd -Bonaccini, D’Alfonso, De Vincenti- non ci fu neanche l’accenno al gesto cavalleresco  di togliere dall’imbarazzo le donne presenti. Le quali, in piedi sotto la pioggia, reggevano gli ombrelli ai colleghi maschi. E mai nessuno ha increspato di protesta i dibattiti interni al partito, all’evidenza  che durante la quarantena Covid di Zinga l’unica presidente donna dei Dem, Valentina Cruppi non solo s’è mai vista in pubblico; ma,  è stata perfino sostituita  dall’allure da telecamera del vicepresidente Andrea Orlando. Nessuno, nel Pd, che abbia mai protestato per tutto ciò. Nemmeno la stessa Cirinnà che oggi s’è accorta della sfasatura tra il predicar bene e il razzolar male. Non che fossero obbligati alla denuncia sessista,  beninteso. Dato che un principio-cardine liberale delle organizzazioni è comunque la competenza, non il sesso: ed è evidente che possano esistere cretini e incapaci sia tra le donne che tra gli uomini (anche se tra gli uomini forse sono di più). Ma il fatto  che il Pd, sulla pantomima delle quote rosa ad ogni costo, ci campi da una vita, be’, rende il comportamento del partito ancora più stridente. 

Flavia Perina donna di destra estremamente liberal scrisse su Linkiesta: « La sinistra italiana, e il Pd , ha un palese problema con le donne, del quale non si accorge neppure specchiandosi con le performance senza dubbio migliori della controparte di destra (un capo partito donna, la prima donna presidente del Senato, due capigruppo parlamentari donne)... Il progressismo italiano resta il più maschilista d’Europa, il solo che non è riuscito a esprimere una donna leader o quasi-leader, il solo che si scorda sistematicamente le donne nei comitati, nelle nomine degli Amministratori delegati e ovunque sia in gioco il potere reale, l’unico con un considerevole Pantheon di icone femminili – da Jotti a  Levi Montalcini, da  Hack a Anselmi – peraltro tutto sotto terra». E direi, cara senatrice Cirinnà, che non c’è nulla da aggiungere...

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