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Così Umberto Eco ha sdoganato la cultura di destra

 La filosofia di Umberto Eco

Fotoromanzi, fumetti, Totò e Celine, Nietzsche e Superman: il semiologo esaltava tutto ciò che prima di lui gli intellettuali progressisti disprezzavano

Francesco Specchia
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Io sono fieramente di destra, parlo, penso, sogno perfino a destra. Ma credo che abbia fatto di più alla cultura di destra Umberto Eco che l’intera produzione di Celine, D’Annunzio, Pound e Prezzolini. Non c’è contraddizione.

La mia istruzione vibra sinceramente della destra dei Montanelli e dei Longanesi, del conservatorismo di Chesterton e Mark Twain, eppure devo ammettere che se non fossi inciampato, da ragazzo, nelle pagine di Apocalittici e integrati, il saggio di Eco sulla cultura di massa datato 1964; be’, nelle mie passeggiate per i boschi narrativi avrei sempre vissuto nel complesso che la sinistra culturalmente fosse migliore di noi. Non che non lo fosse. Eliminiamo a prescindere lo snobismo politico di Eco; sorvoliamo sul suo ossessivo antiberlusconismo e sulla “superiorità antropologica della sinistra rispetto ad una destra divisa in leghisti deliranti, e tutti coloro che hanno avuto contenziosi con la magistratura”, disse. Che, poi, anche lì: il semiologo aveva appassionati incontri col berlusconissimo Marcello Dell’Utri in nome della comune bibliofilia. Ma, insomma, spogliamoci, per una volta, dell’ideologia. Concentriamoci sul valore culturale. Per far chiarezza approfittiamo dell’uscita di due libri, decaduto il veto che Eco aveva posto all’editrice Elisabetta Sgarbi dopo la fondazione de La Nave di Teseo: “Vi prego, niente omaggi e convegni su di me per i cinque anni successivi alla mia morte”. Il primo volume ponderoso è La filosofia di Umberto Eco (La nave di Teseo, pp 900, euro 25), una sorta di “autobiografia intellettuale” contemporanea all’ingresso del “primo intellettuale italiano” nella Library of Living Philosophers, la collana Usa che contiene il gotha d’ogni tempo da Russell a Sartre. Il secondo tomo si intitola Le avventure intellettuali di Umberto Eco (stesso editore, pp176, euro 13), in cui l’allievo Stefano Traini, del maestro Eco, ripercorre metodo scientifico, studio dei codici, impeto romanzesco. Da entrambi emerge la figura di un filosofo iperliberale, senza preconcetti, che valorizzava la differenza tra gli “apocalittici”, ossia quelli esprimono snobismo per la cultura di massa -Moravia tra tutti, ma anche chiunque abbia transitato nella cinquina dello Strega- e gli “integrati” immersi nella cultura midcult, della “classe media”. Eco non stava nè destra né davvero a sinistra; era un Dc col senso dell’onore e del rispetto letterario per ogni lettore. Gli piacevano Borges, Gide e Celine, amava Topolino; e fu l’unico a paragonare il Superuomo di Nietzsche ai fumetti di Superman, l’essere più patriottardo della società americana. Gli piacevano, sì, Gramsci e i formalisti russi, ma era ferocemente appassionato degli eroi omerici, di Salgari e dei feuilleton ottocenteschi che la critica di sinistra considerava da microcefali. “La mia nonna materna non faceva grande distinzione tra letteratura e romanzi da quattro soldi, tra Stendhal e Dumas. E così mi ha fatto leggere sia Le pere Goriot di Balzac che libri tremendi che non valevano niente”, scrive ne La filosofia rivendicando l’appartenenza alla media borghesia piemontese. In un momento storico in cui andavano di moda l’incomprensibile Ulisse di Joyce, il Gruppo 63, l’incomunicabilità di Antognoni, l’Umberto andava controcorrente. Nel Diario minimo inventava di sana pianta un’assurda band di fanatici critici joyciani; esaltava la risata di Totò e il sogno “di scrivere un libro sulla teoria del comico” alla Pirandello; valorizzava Sherlock Holmes e i fotoromanzi, e il ricordo infantile del “edizione ottocentesca dei Tre moschettieri illustra da Leloir”. Tutta roba che noi middlebrow (ossia le “menti medie” del sociologo MacDonald, quelli che aprono Joyce, capiscono cos’è, lasciano perdere e si mettono a leggere Dumas) abbiamo sempre condiviso. E che gli intellettuali di sinistra, hanno sempre disprezzato. Ma non potevano disprezzare Eco, perché era il loro campione. Eco mi ha permesso di essere di essere di destra senza complessi.

Se diceva che per divertirsi leggeva Hegel e per impegnarsi Corto Maltese, potevo farlo anch’io. Eco non era mai stato togliattiano; aveva militato nell’Azione Cattolica e apparteneva ai Corsari, l’infornata d’intellettuali trasversali della Rai del ’54 che lanciò Mike Bongiorno e Mario Soldati sulla valle del Po, e privò l’elite del monopolio del consenso culturale. Se è stato un nemico, è stato il migliore che si potesse desiderare…

 

 

 

 

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