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Pier Ferdinando Casini e Papa Wojtyla, l'incontro in Parlamento e la tentazione delle dimissioni

Casini  

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È sopravvissuto a cinquant' anni di politica, e ora pure al Covid. Ha iniziato sui banchi di scuola, come rappresentante degli studenti moderati al liceo classico di Bologna («Eravamo quattro contro quattrocento»). Fanfani gli ha affidato i giovani della Dc. È entrato in Parlamento nel 1983, a 27 anni; è ancora lì. Quattro figli da due matrimoni, Maria Carolina, Benedetta, Caterina e Francesco. Ora è single.

Senatore Pier Ferdinando Casini, come sta?
«Sto bene, benissimo. Mi sono completamente ripreso dal virus, sono tornato anche a fare i miei dieci chilometri di passeggiata quotidiana a Villa Borghese per tenermi in forma. Certo, evito i contatti in attesa di recuperare la negatività».

Ma si può uscire?
«Dopo ventun giorni dalla comparsa dei sintomi, sì».

In che modo l'ha preso?
«Credo dai miei figli, che presumo si siano contagiati a scuola. Loro non lo sapevano: hanno avuto solo per un paio di giorni i sintomi tipici dell'influenza».

Lei non è più un ragazzo.
«Infatti è stato più complesso. Ho avuto febbre, tosse forte, un grande senso di spossatezza. È proprio la tosse il segnale che deve allarmare. Per questo sono stato portato in ospedale».

 

 

Ha temuto di morire?
«No, mai. Non ero nelle condizioni fisiche per aver paura di non farcela. E poi mi sono sempre sentito sotto controllo, monitorato. Il Covid oggi non è più una malattia misteriosa. I medici sanno come affrontarlo».

Che tipo di cure le hanno fatto?
«Non appena mi hanno ricoverato mi hanno sottoposto a una tac, e si è visto che avevo la polmonite. L'eparina, unita all'antivirale, ha evitato che la crisi ai polmoni si acutizzasse».

È un democristiano di lungo corso. Ma crede davvero?
«Sono un credente, e sono un peccatore, come immagino la maggior parte degli uomini e delle donne».

Va a messa?
«Certo, la domenica. E dico il rosario quasi tutti i giorni. È stata mia nonna Teresa a insegnarmi a recitarlo come atto di devozione alla Madonna, il tramite vero tra noi e Dio. Da quando avevo cinque anni, mi portava con lei tutte le sere del mese mariano, alle sette, nella chiesa di Santa Teresa del Bambino Gesù a Bologna, per dire il rosario. Mi sento come molte persone che devono restituire qualcosa. Così mi dedico, in silenzio, a delle opere di assistenza».

Fa anche la Comunione?
«No, mi attengo alle regole. Sono divorziato e ai divorziati l'Eucarestia non è concessa. Vedo con una certa diffidenza il "sindacato" composto da quei cattolici che pretendono di dettare i sacramenti al Papa».

Come sono stati i suoi divorzi?
«Non mi piace parlarne. Comunque è chiaro che ogni matrimonio che fallisce coincide con un fallimento della propria vita».

La fede la aiuta?
«Molto. C'è una frase di sant' Ignazio di Loyola che mi viene spesso in soccorso e mi ispira: "Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio". Mi fa riflettere: se Dio non ci tiene la mano sulla testa non possiamo fare nulla e non siamo nulla».

 

 

 

Questo vale anche per i politici?
«Sì. Ho incontrato uomini e donne molto intelligenti con un difetto capitale: si prendevano troppo sul serio. E come lei sa, i cimiteri sono pieni di gente che si riteneva indispensabile. In fondo anche questa pandemia ci dimostra che non siamo i padroni della vita e della morte».

L'ha mai sfiorata l'idea della fine?
«Credo che tutti cerchiamo di rimuovere questo pensiero. E che un certo timore lo provino anche gli uomini di fede profonda. La normale autodifesa dalla morte è non pensarci; ma lei si palesa attraverso gli amici e le persone più vicine che se ne vanno. Quindi, non bisogna farla scomparire dai nostri orizzonti, perché è connessa alla vita».

Immagina l'Aldilà?
«Non me lo immagino. Sono un uomo di fede, ma di poca fede. Anche se cerco di averne di più. Mi è capitato di domandarmi se esista».

E che risposta si è dato?
«Che ci sarà. Certo, mi auguro che il criterio di accettazione per l'Aldilà, che verrà applicato nei confronti di noi poveri erranti, sarà abbastanza clemente».

Ma ci saranno Inferno, Purgatorio e Paradiso come li descrive Dante?
«Non so se la dimensione di una vita nuova preveda una qualche forma di continuità con quella terrena. Sono aspetti che non sono in grado di razionalizzare: fanno parte di un mistero che non riesco a incorniciare. Non avrebbe senso però che finisse tutto su questa Terra».

Anche i peccatori saranno salvi?
«Sí. Mi auguro avverrà come nella parabola del Figliol Prodigo: il padre accoglie il figlio che ha dilapidato il patrimonio. Non gli chiede che cosa ha fatto e perché lo ha fatto: lo abbraccia a basta. Lo stesso spero farà il Signore, Lassù». Da che famiglia viene? «I miei sono di Bologna. Mio padre, Tommaso, è stato un professore di Lettere, una personalità del mondo culturale e il segretario Dc della città. Se ne è andato per una malattia al cuore. Era un uomo austero, tradizionale, autorevole ma non autoritario».

 

 

E sua madre?
«Si chiama Mirella, faceva la bibliotecaria. Oggi, a 92 anni è ancora in grande attività. Esce da sola, gioca a bridge, incontra le amiche. Mi ha trasmesso l'empatia caratteriale. E mi insegna ancora molto. A 65 anni si pensa di non aver più bisogno di nessuno che ci spieghi la vita; non è così. Più volte, mi ha dato lezioni straordinarie. Avere ancora la mamma è un dono di Dio».

Che suoi?
«Ho avuto la fortuna di avere genitori che hanno reso le mie sorelle, mio fratello e me sereni».

Ha ricevuto un'educazione cattolica?
«Sì, erano credenti, anche se non bigotti. Andavamo ogni domenica a messa. Mi hanno trasmesso una profonda devozione alla Madonna di San Luca. Ricordo che suscitò un certo scalpore quando, nel primo discorso da presidente della Camera, dissi che mi affidavo a lei. Fu Arturo Parisi, il fondatore dell'Ulivo, a difendermi: !Non conoscete cosa rappresenti la Madonna di San Luca per i bolognesi. Anche i non credenti la venerano!».

Chi è stato il suo mentore in politica?
«Mio papà. Conservo sulla mia scrivania una sua foto con De Gasperi in piazza Maggiore, nella campagna del 1948. Mi ha incitato molto, ma lasciandomi libero. Da giovane, quando ho cominciato a fare su e giù con Roma, mi ripeteva solamente, ma spesso, che dovevo laurearmi in corso. A parte qualche sbandamento iniziale, sono sempre stato allineato alle sue idee centriste».

Beh, non direi. Si è gettato a sinistra...
«Mi perdoni, ma nel 2018 mi sono candidato in una coalizione che aveva sostenuto i governi Letta, Renzi e Gentiloni. Il capo di questa coalizione era Renzi: c'è qualcuno che possa ritenere queste persone dei comunisti? Non credo proprio..».

Esiste un segreto in politica per durare a lungo?
«In effetti il problema non è arrivare; è proprio durare. E il segreto è essere una persona per bene. Bisogna limitare al massimo le bugie».

Quindi alcune vanno dette...
«È ovvio che non bisogna farlo. Ma se uno deve proprio trasgredire meglio limitarsi a quelle indispensabili. E poi bandire l'ipocrisia. Vedo parlamentari che hanno l'autista, ma se incrociano un giornalista prendono il taxi... Non si fa».

Cosa pensa di Berlusconi?
«È un uomo straordinario, dovrei scrivere un libro per raccontarlo. Ha difetti, come tutti noi, ma avendolo conosciuto bene posso dire che non coltiva sentimenti di inimicizia verso nessuno».

Forlani?
«Lo stimo molto, ha fatto bene ma ha avuto la sfortunata di incappare nella mattanza della Prima Repubblica. Ha servito la politica, non se ne è servito».

Andreotti?
«Un uomo eccezionale anche nei suoi difetti. Nel 2006, quando venni eletto presidente della Internazionale Democristiana, volle venire a Ginevra per aiutarmi nella campagna elettorale».

In Transatlantico parlava anche con Almirante?
«Con lui e Natta, segretario del Pci. Pur nella distanza ideologica, ho intrattenuto un bel rapporto con loro. Ero giovane e sconosciuto ma mi fermavano per chiacchierare. Natta poi era un latinista straordinario, e mi parlava in latino, pensando che capissi qualcosa».

Papa Francesco?
«Rappresenta un argine rispetto ai tentativi di liquidare e maltrattare la Chiesa. Sbaglia chi lo mette in contrapposizione con i suoi predecessori. C'è continuità tra tutti, anche se lo Spirito Santo si serve a volte di personalità diverse; sceglie per ogni epoca il Papa di cui c'è bisogno».

Lei era molto legato a Giovanni Paolo II, riuscì anche a portarlo in visita alla Camera.
«È vero e lo sono ancora oggi: ho sempre con me il suo santino. Quando lo accompagnai all'uscita del Parlamento gli dissi: "Dopo aver dato la parola a lei posso anche dimettermi". E lui: "Non scherzi, vada avanti"».

Tiene molto alla sua città?
«Più invecchio e più mi attacco a Bologna in maniera morbosa. Quando poi la squadra di calcio perde, resto di cattivo umore. Dopo quarant' anni di campagne elettorali il legame verso ogni angolo della città è fortissimo».

Esistono gli angeli custodi?
«Ho sempre pensato che siamo accompagnati da anime in una forma indefinita. Credo che mio padre sia una di queste. In uno dei nostri ultimi colloqui mi disse: "Adesso non ti do più consigli, visto che sei più bravo di me". Evidentemente era una bugia».

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