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Massimo Galli, preoccupato per gli assembramenti post-scudetto dell'Inter: "Non doveva succedere"

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"Sono un interista di terza generazione e non sarei andato in piazza a festeggiare, a prescindere". Così l'infettivologo Massimo Galli chiarisce il suo pensiero dopo i festeggiamenti dei tifosi nerazzurri per lo scudetto appena vinto.  "È evidente che non doveva succedere. Chiudere la piazza dalla mattina non era possibile, bisognava dichiarare in modo netto che manifestazioni di quel genere non erano permesse. Ma ormai è stato dato il messaggio politico di riaprire e tornare indietro è dura", spiega in una intervista al Giorno. Il professore è anche pessimista per il futuro: "Voglio vedere cosa succede a 28 giorni dal 26 aprile, data delle riaperture, sperando ardentemente che la progressione dei vaccini fermi quello che temo possa essere successo. Non speriamo nel fatto che siamo all'aperto: se canti e schiamazzi a distanza di un metro, lo stare all'aperto è irrilevante. La mitizzazione del discorso 'all'aperto' è sbagliata, dipende da come si sta in quel contesto", chiarisce.

 

 

 

 

"Il calcio è una passione che si fonda su componenti irrazionali. Vedere 30mila tifosi assembrati è grave, ma quello che succede in Italia in questi giorni è peggio". Per Galli le regole sono sempre le stesse: "Distanza e mascherine: quando c'è molta gente. Bisognava vaccinare di più e aprire di meno in questo periodo. Il segnale da 'liberi tutti' è stato dato una decina di giorni prima del 26 aprile. La scelta politica del 'rischio calcolato' la capisco, ma è un azzardo", sentenzia

 

 

 

 

Galli si sofferma anche sui concerti-test in varie città d'Europa dove ci sono stati buoni risultati, nonostante gli assembramenti, anche in luoghi chiusi, con l'utilizzo delle mascherine Ffp2. "Sono esiti rilevanti. Io sono favorevole al patentino di immunità, con tutti i limiti che possiede. Serve un compromesso, se è vero che con il virus non tratti, è altrettanto vero che la gente non si tiene". E sui colori dell'Italia a giugno spiega che, "a me i colori non piacciono, non funzionano. Abbiamo un numero imponente di infezioni, una lentissima decrescita e l'invasione di varianti: dobbiamo fare attenzione".

 

 

 

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