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Afghanistan, ricordate Debora Serracchiani col velo? Si era sottomessa all'Islam, ma ora coi talebani è muta

Debora Serracchiani

Gianluca Veneziani
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Non le hai sentite dire una mezza frase sui matrimoni forzati, sul divieto di guidare auto, indossare gioielli e usare cosmetici, né sulla reintroduzione del burqa, ossia su quanto il velo integrale voluto dai talebani mortificherà la dignità e la libertà delle donne. È come se, nel timore di apparire anti-islamiche, avessero indossato anche loro il burqa, tappandosi la bocca o limitandosi a fare affermazioni generiche e tardive. Si mostra qua il "coraggio" delle femministe nostrane, coloro che, quando ricoprivano incarichi istituzionali o politici di rilievo, non esitavano a indossare il velo, palesando così la loro sottomissione all'islam; e che oggi stendono un velo di semi-indifferenza sulla situazione delle donne in Afghanistan, fingendo di non vedere. Già, riescono a guardare solo attraverso la grata del burqa... Ti imbatti così in una Federica Mogherini, già Alto rappresentante per gli affari esteri dell'Unione europea, che in quel ruolo vestì il velo islamico durante diverse visite in Iran: tra il 2016 e il 2017 e, per incontrare il premier Rohani, sfoggiò un hijab a coprirle capelli, collo e spalla. Ci fu chi parlò, a riguardo, di «atto di sottomissione», lei arrancò rispondendo che era un «obbligo protocollare assoluto». In realtà non doveva dispiacerle troppo quel velo, se è vero che adesso la Mogherini è in completo silenzio sulla situazione delle donne interamente velate in Afghanistan.

 

 

BOCCA CHIUSA
Ha tenuto chiusa la bocca per giorni anche Laura Boldrini, la paladina per eccellenza del femminismo nostrano. In molti non si sono sorpresi: nel 2014, quando era presidente della Camera, si era presentata velata andando in visita alla Grande Moschea di Roma, e aveva dichiarato solennemente: «Qui mi sento a mio agio e non ho paura». Evidentemente sentiva che il velo islamico le calzava a pennello. Forse per la stessa ragione ha titubato nel prendere ledifese delle donne dal regime talebano. Poi, incalzata dall'evidenza e dalle polemiche, ha dovuto dire qualche frase retorica in un'intervista a La Stampa, tipo «La repressione delle donne dei taliban va condannata senza se e senza ma», ed «è un ossimoro parlare di rispetto della donna e sharia». Nella sostanza però la Boldrini non ha toccato il problema fondamentale: è il Corano stesso a predicare la soggezione della donna e il velo obbligatorio non è che una sua manifestazione. Indossarlo è quindi già una forma di resa. Ne sa qualcosa anche la capogruppo dem alla Camera Debora Serracchiani, promossa in quel ruolo per rimediare al sessismo all'interno del Pd, ma evidentemente disattenta rispetto alla (un pochino più grave) questione sessista in Afghanistan. In questi giorni la Serracchiani si è lasciata andare a uno striminzito retweet, «L'Italia promuova corridoi umanitari per i rifugiati e tutti coloro, a partire dalle donne, che hanno creduto nella promessa di libertà dell'Occidente»; e poi a una vaga dichiarazione in merito alla Conferenza del G20 sull'empowerment femminile: «Non dimentichiamo le donne afghane, la loro lotta per conservare diritti ed opportunità conquistati in questi venti anni».

 

 

DRESS CODE
Tutto qua? Sarebbe però un errore aspettarsi di più da una politica che nel 2016 andò in Iran ufficialmente nelle vesti di presidente del Friuli Venezia Giulia e vicesegretario Pd, ma di fatto nelle vesti di donna in versione islamizzata con tanto di velo; e da un'ex governatrice che inviò un dress code ai sindaci della sua regione in cui pregava le donne di non indossare gonne sopra il ginocchio e di limitare l'uso di gioielli e profumi. Manco fossero non in Friuli, ma a Kabul... La sola che ha detto qualcosina in più è stata Emma Bonino: ieri, intervistata da Repubblica, ha evidenziato l'inutilità della retorica sui diritti delle donne afghane se non accompagnata da gesti concreti dell'Occidente; e ribadito la natura discriminatoria del governo talebano verso il genere femminile: «I leader occidentali si sbracciano e annunciano sostegno ai diritti delle donne afghane, ma sono pie intenzioni», ha avvertito. «L'Afghanistan è affidato a un movimento fondamentalista sunnita con forti elementi di misoginia». Il punto però è che la Bonino dovrebbe sapere che i diritti delle afghane si difendono solo se noi in primis promuoviamo la nostra identità. Ogni nostra cedevolezza aiuta il nemico a vincere. E tale fu quella della Bonino nel 2014 quando, da ministro degli Esteri, si recò in visita a Teheran. All'arrivo in aeroporto si presentò senza velo, salvo però poi indossarlo in tutti gli incontri ufficiali. Servirebbero invece parole e gesti netti. E ci vorrebbe, da parte delle femministe nostrane, un'azione eclatante come quella di un donna che nel 1979, giunta a Teheran, osò sfidare l'ayatollah Khomeini togliendosi il velo davanti a lui. Si chiamava Oriana Fallaci. 

 

 

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