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Giulio Sapelli su Vladimir Putin: "Un pazzo che può fare di tutto. Prima del golpe, premerebbe il pulsante atomico"

Pietro Senaldi
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Professore, cosa succede in Russia?

«Succede che il Paese negli ultimi dieci anni è cambiato. Non svolge più quel ruolo positivo, che aveva sempre avuto, di collegamento tra Occidente e Oriente. Non c'è più la vecchia Russia, incrocio delle culture europea e asiatica. Oggi il potere a Mosca è molto più simile a quello cinese, un regime capitalista monopolistico di Stato a regime terroristico».

E Putin, quanto è cambiato?

«È come un cieco che si dibatte nei propri furori perché circondato da incompetenti. Sta portando il Paese verso un neo-stalinismo».

Come è potuto accadere? Fino a poco fa era considerato uno dei leader più abili e intelligenti al mondo, oggi si inseguono voci che lo danno per ammattito.

«L'invecchiamento, la decadenza, le malattie, la vertigine del potere, l'isolamento oligarchico, la frustrazione per non aver fatto della Russia una potenza economica. Gli uomini cambiano, per questo il potere personale è preoccupante ed esistono le democrazie».

In tanti sostengono che Putin abbia delle ragioni, perché l'Occidente ha umiliato la Russia e paventare l'adesione dell'Ucraina nella Nato è un'idiozia politica...

«Putin forse aveva delle ragioni, ma ora ha torto. Gli Stati Uniti hanno senza dubbio offeso la Russia e l'equilibrio mondiale, ma alla fine, a definire se hai ragione, è il modo in cui reagisci ai torti, e Putin ha sbagliato».

I destini del mondo sono nella mente e nei nervi di un uomo sempre più autoreferenziale, che ha stravolto la macchina del vecchio potere sovietico, circondandosi di un cerchio più rovinoso che magico. L'invasione dell'Ucraina potrebbe essere il preludio di accadimenti ancora più tragici, peri quali dovrebbe battersi il petto anche l'Occidente. «Abbiamo affrontato la disgregazione dell'impero sovietico con lo spirito di chi va a un banchetto, anziché con le accortezze che ogni sconvolgimento degli equilibri geopolitici mondiali richiederebbe». Così la vede Giulio Sapelli, economista, professore, consulente delle più importanti aziende italiane e, per anni, componente del Valdai Club: quindici intellettuali che ogni anno si davano appuntamento per una settimana a Mosca e a San Pietroburgo, per poi passare due giorni con Putin, ospiti nella sua dacia, allora frugale e ben diversa da come sarebbe stata dopo. «Ci sono due Putin», spiega Sapelli, «il primo governava come i vecchi leader sovietici, sulla base dei valori e degli interessi economici nazionali, con una rete di potere antica, che traeva la sua forza dai servizi segreti, il Kgb dal quale proviene lo stesso Vladimir, e l'esercito. È il Putin che aveva condotto la lotta a Eltsin, riuscendo a cacciarlo perché Boris stava dilapidando le immense risorse russe dandole in pasto a una cricca di amici monopolisti che si erano arricchiti depredando il Paese. Il secondo è un leader che non è stato in grado di fermare il sacco dell'ex Urss ed è riuscito solo a mantenere il controllo dell'energia, il gas e il petrolio, cogestita con i militari. È un capo che ha perso carisma, sostituendolo con l'autoritarismo, quasi allucinato, che governa con una schiera di signorsì, un ministro della Difesa, Shoigu, che non è neppure un militare e Gerasimov, il capo delle Forze Armate, inventore della guerra ibrida e degli attacchi cibernetici, l'uomo che ha svilito l'esercito, preferendo le brigate mercenarie».

 

 

 

Come pensa che andrà avanti la guerra?

«Può finire molto male, perché l'Armata Rossa ormai è un esercito mal guidato, i generali storici sono stati accantonati, e infatti l'avanzata procede lenta perché i nuovi specialisti di cibernetica non sono capaci di fare la guerra. Hanno difficoltà che e sono privi di copertura aerea, i reparti non sono coordinati. Con l'arrivo dei ceceni poi potremmo assistere a massacri strada per strada, come nella ex Jugoslavia. Ho una speranza nel fatto che tra i soldati russi ci siano molti coscritti, ragazzi che forse avranno remore a sparare sui civili, ma certo il conflitto si deciderà sul campo e la sua durata dipenderà dalla capacità di resistenza del popolo ucraino».

Cosa può fare l'Occidente?

«Deve agire diplomatica mente e favorire il dissenso rus so. Sono già stati arrestati oltre settemila contestatori: è un da to rilevante. Questa guerra può rafforzare lo spirito russo, che è quello di Sacharov, dei grandi intellettuali. Pu tin oggi in Russia è più debole di non si pensi, anche in provincia; il suo consenso, o me glio l'accettazione pragmatica del suo dominio, - resiste solo nelle zone rurali. Nelle scorse elezioni, due mesi fa, ha votato solo il 48% dei russi e il capo medita di sciogliere perfino Russia Unita, il suo partito: significherebbe che ormai a Mosca la politica è finita e si governa solo con la polizia».

A cosa punta Putin?

«Lo ha detto: vuole conquistare tutta l'Ucraina».

Dopo di che si fermerà?

«Putin non vuole rifare l'impero sovietico, e neppure quello zarista, come si dice: conduce invece una guerra etnica, vuole riunire intorno a sé tutto il mondo russofono ma si illude, tant' è che il Kazakistan, il Tagikistan, il Kirghizistan non si sono fatti coinvolgere. Il leader è mal consigliato, come dimostra l'appello fatto ai soldati ucraini ad arrendersi, ignorando che il loro nazionalismo glielo avrebbe impedito. Mosca pensava che la guerra si sarebbe risolta in una settimana. Questo conferma il livello assai misero dei consiglieri presidenziali».

Quanto serviranno le sanzioni economiche dell'Occidente?

«È un mezzo al quale non credo. Lo ritengo controproducente, perché alimenta il legame del popolo con la dittatura. Le sanzioni hanno aiutato gli ayatollah in Iran e Castro a Cuba, non hanno mai agevolato un cambio di regime. Le sanzioni sono il simbolo del declino degli Stati Uniti, che le usa perché non sa più esercitare il proprio ruolo di potenza egemonica, culturale e diplomatica».

 

 

 

Si dice che l'Occidente punti a mettere in ginocchio economicamente la Russia per favorire la sostituzione di Putin...

«Questo è possibile, perché Putin è debole e i magnati, eliminati dall'esercizio del potere politico, si sono stancati e sono preoccupati. Però, proprio per questo, è anche possibile che Putin, solo e disperato, opti per un gesto estremo. Nessuno nel suo cerchio ristretto avrebbe la forza di fermarlo e la sua fase delirante, con ricorso a suggestioni magiche, potrebbe fare di lui una sorta di dottor Stranamore».

La guerra era evitabile?

«Questa guerra nasce dall'avidità, di potere e denaro, con la quale l'Occidente gestì la dissoluzione dell'impero sovietico. Reagan e Gorbaciov stipularono un tacito patto di ferroche stabiliva che nessun Paese oltre-cortina sarebbe mai entrato nella Nato o nell'Unione Europea. Ma l'Occidente poi favorì la destituzione di Gorbaciov per insediare Eltsin e avviare la stagione delle privatizzazioni selvagge e, come insegna il Faust, dagli errori radicali nascono i mostri».

Dopo aver vinto la Guerra Fredda non abbiamo saputo vincere la pace?

«Gli Stati Uniti non hanno capito la complessità del mondo slavo, una polveriera dove può scoppiare l'incendio in ogni momento. Hanno mancato di conoscenza e appoggiato personaggi improbabili. Non si sono mai davvero fidati dei russi e di fatto li hanno ridotti alla fame».

Abbiamo illuso l'Ucraina, paventandole l'ingresso nella Nato?

«Questa vicenda mi ricorda quando la Germania, all'inizio degli anni Novanta, riconobbe unilateralmente la Slovenia e la Croazia. Era evidente che ne sarebbe scaturito un genocidio».

Cosa dovremmo fare oggi?

«L'Ucraina non può vincere sul campo, serve la diplomazia. Va fatta una sorta di Congresso di Versailles, quello che non si fece quando crollò l'Urss. Tutto nasce dalla mancanza di un accordo di pace dopo la Guerra Fredda».

E cosa dovrebbe stabilire questo accordo?

«Anche se la Russia è il Paese aggressore, non va umiliato, bisogna consentirle di ritirarsi senza perdere la faccia. So benissimo che in teoria Kiev avrebbe diritto a entrare nella Nato, ma non può farlo. Va riconosciuta a Mosca la Crimea, che è culturalmente Russia, va dichiarata l'Ucraina nazione demilitarizzata e va applicato l'accordo di Minsk del 2014, che riconosceva un'autonomia al Donbass».

L'Italia che ruolo può giocare?

«Il solito, quello del vassallo intelligente e capace. Malgrado gli ultimi governi, conserviamo una grande tradizione diplomatica e di intelligence e dobbiamo metterla al servizio degli Stati Uniti per fargli fare la pace con la Russia».

Il sogno di Berlusconi di inizio millennio, a Pratica di Mare, quando tentò di mettere d'accordo Washington e Mosca, era irrealizzabile?

«Era realizzabile, ma si è scontrato con la volontà dell'establishment americano, che fece l'errore di fermarlo perché voleva sottomettere la Russia anziché riconoscerla». 

 

 

 

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