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Alessandro Orsini: "Vladimir Putin un criminale di guerra, ma attenti a non umiliarlo". Che rischi corre l'Europa

 Alessandro Orsini

Pietro Senaldi
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«Vorrei innanzi tutto chiarire che sono un convinto europeista. Per questo critico Bruxelles, che non si è resa conto di quanto stava succedendo in Ucraina, benché fosse evidente, e ora che è scoppiata la guerra, anziché lavorare per uscire dal conflitto, si fa trascinare da Boris Johnson, un oltranzista che disprezza la Ue, eletto per recidere i legami tra Londra e il Continente».

Ma cosa dovrebbe fare secondo lei l'Europa?
«Elaborare una strategia per la pace. Finora Bruxelles ha operato soltanto per la guerra: rifornisce di armi l'Ucraina, diffonde propaganda occidentale e applica le sanzioni. Non fa niente per la pace».

Il piano è piegare Putin attraverso le sanzioni economiche...
«Sempre che prima esse non pieghino noi».

Non le pare di esagerare?
«Mettiamo pure che le sanzioni provochino la disfatta di Mosca o un golpe in Russia. Crede che d'improvviso il mondo sarebbe pacificato? Chi paragona Putin a Hitler dovrebbe sapere che una grande potenza revanscista nel cuore dell'Europa non consente di creare un ordine internazionale stabile. La guerra nasce perché la Russia si sente una nazione ferita; umiliarla aggraverebbe la situazione».

Lo sa che le danno del collaborazionista per questa sua visione delle cose?
«Sono completamente schierato dalla parte del blocco occidentale. Ma in questo blocco esistono due anime: quella autoritaria-bellicista e quella liberale-pacifista, a cui appartengo. La verità è che è una guerra un po' strana, mi lasci dire...».

In che senso?
«In questo delirio collettivo, i buoni inviano le armi agli ucraini, ma poi danno un miliardo al giorno ai russi. Secondo lei, l'Italia dà più soldi a Mosca o a Kiev?».

 

 

Noi sosteniamo l'Ucraina per difendere la democrazia nel mondo. È questione di principio...
«L'opinione ricorrente in Occidente è che la sola scelta etica sia armare gli ucraini».

Difficilmente contestabile...
«Ci sono due etiche, quella della convinzione, che si accontenta di affermare un principio astratto. E quella della responsabilità, che si interroga sulle conseguenze dell'applicazione degli ideali».

Il cattivo di turno ha i tratti giovani e delicati di Alessandro Orsini, fondatore e direttore dell'Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale dell'Università Luiss di Roma. Ogni giovedì, Formigli lo invita nella sua PiazzaPulita e gli assegna il ruolo di punching-ball della sinistra militarista e benpensante, che non potendo menare Putin, fa il mazzo a lui. Il sabato successivo, Gramellini - «Cosa vuole da me costui?», penserà tra sé e sé il professore - gli rifila il calcio dell'asino nella sua rubrica sul Corriere della Sera. In questa intervista a Libero, il geopolitico più bersagliato d'Italia parla da libero pensatore, si perdoni il necessario gioco di parole. Lo studioso è balzato ai disonori della cronaca per aver illustrato pubblicamente le ragioni del tiranno, «che poi sono le motivazioni», tiene a precisare l'interessato, sul quale si è scatenato un bombardamento mediatico di consueta violenza, visto il livello di tolleranza del dibattito pubblico negli ultimi tempi.

A chi gli dice che gli ucraini hanno diritto a morire per se stessi, la libertà e il loro Paese, replica che «dare armi alla gente di Kiev avvia una spirale mortifera dalla quale sarà quasi impossibile uscire». Il rischio è che, per ogni fucile che spediremo in Ucraina, Putin ne metterà sul campo dieci e aumenteranno le vittime civili. Per Orsini il destino dei bambini ucraini è la priorità da tutelare nella guerra.

 

 

Le segnalo che in Ucraina i bambini stanno già morendo...
«La narrativa occidentale dice che Mosca è in difficoltà nella sua offensiva. Poi sui giornali vedi solo foto e reportage di ucraini morti e città assediate. Io credo che Putin stia ancora combattendo con le mani dietro la schiena. Siccome vuole occupare tutta l'Ucraina, tende a inimicarsi il meno possibile la popolazione civile, altrimenti avrebbe iniziato a bombardare a tappeto le città. Sottovalutiamo la capacità militare e l'orgoglio nazionale russo».

O forse è lei che lo sopravvaluta: in Russia ci sono proteste contro Putin, migliaia di arresti...
«Le proteste contro la guerra ci sono anche in Italia. Il guaio è che ragioniamo secondo la nostra ottica occidentale, dove il Pil conta più di ogni altra cosa. Per i russi l'Ucraina è questione di vita o di morte per le generazioni future. Noi europei abbiamo invaso la Russia con Napoleone e Hitler. Questi traumi restano per sempre nella memoria collettiva di un popolo aggredito».

Cosa c'è nella testa di Putin?
«C'era l'idea che l'Ucraina fosse già nella Nato. Kiev ha offerto il proprio territorio alla Nato per condurre decine di esercitazioni militari. Non faceva parte della Nato, ma aveva un piede nell'Alleanza e l'Alleanza aveva un piede in Ucraina».

Ma è Putin che si sta comportando da criminale di guerra...
«Lo penso anch' io, ma l'Occidente ha snobbato i suoi segnali».

Per quanti errori possiamo aver fatto, è lui ad aver scatenato la guerra, che è il vero crimine...
«Benedetto Croce ci ammonisce: è lo storico che decide da dove far partire la narrazione dei fatti. Se iniziamo il racconto da un mese fa, è vero, ma se si pensa a quanto si è espansa la Nato negli ultimi vent' anni, la prospettiva cambia».

L'adesione alla Nato è un atto volontario, non un'annessione...
«Non bisogna commettere l'errore di applicare le categorie della politica interna alla politica internazionale. Tutte le grandi potenze proibiscono ai Paesi confinanti, laddove possibile, di avere politiche estere pericolose per la loro sicurezza nazionale. Se lo facciamo noi occidentali, ci piace, se lo fanno gli altri no».

Il discorso di Putin allo stadio è raggelante: spinge i russi alla bella morte. Cosa può fermarlo?
«Credo che Putin ormai voglia conquistare tutta l'Ucraina».

Anche se sa di non poterla controllare?
«È plausibile che voglia tenere per sé il Donbass e la parte meridionale dell'Ucraina, quella che dà sul mare. Salvo imprevisti, cercherà di liberarsi di Zelensky per insediare a Kiev un governo amico».

Forse se gli muoviamo guerra il suo esercito gli si rivolterebbe contro...
«E se poi sono i soldati europei che si rivoltano contro i governi occidentali?».

Ammetta, fa il tifo per Putin?
«Sono un nemico di Putin e condanno l'invasione. A lungo l'ho annunciata per scongiurarla, anche in un'audizione al Senato del 4 dicembre 2018. Ma condanno anche Bruxelles, inadeguata nella gestione della crisi. Ursula von der Leyen non difende gli interessi degli europei. Lei e la Merkel dovrebbero rendere conto di molte cose. La guerra in Ucraina ci impone di rivedere certi giudizi un po' celebrativi».

Putin però sta avendo più difficoltà del previsto...
«Dubito che la guerra possa fermarsi per ragioni militari. E poi l'Occidente non può vincere una guerra che non combatte».

Come se ne esce?
«Anticipando i tempi, riconoscendo la Crimea e il Donbass. Bisognerebbe cercare di salvare Zelensky e lasciare in vita un pezzo di Ucraina democratica. La libertà persa si può riconquistare; i bambini morti non possono resuscitare».

Professore, la resa incondizionata a Putin non è una strada praticabile, mi perdoni...
«Non propongo la resa incondizionata. Propongo realisticamente di dare a Putin una parte di Ucraina, quella che si è già presa, e tenere per l'Europa l'altra parte».

 

 

Non so come finirà in Ucraina, ma lei la sua guerra è destinato a perderla, lo sa?
«Non sarei così sicuro. Ho introdotto un nuovo paradigma; molte persone vedono la guerra con occhi diversi grazie alla mia contro-narrazione. Non temo di rimanere solo. L'educazione alla libertà si fonda sull'educazione al coraggio. Torniamo a leggere Nietzsche».

Come ci si sente a essere il bersaglio dell'opinione pubblica?
«Amo chi mi odia e tiro dritto per la mia strada. Non mi spaventano né le censure né gli attacchi diffamatori. La società aperta mi ha dato la libertà. I professori universitari hanno il dovere morale di tenerla viva per consegnarla agli studenti».

Che cosa la spaventa di più?
«Mi spaventa che le università censurino i professori in base agli umori momentanei dei social network. È una nuova forma di totalitarismo. Oggi un hacker isolato, che scriva insulti sulla pagina Facebook di un'università, provoca la censura o il licenziamento di un docente. È una barbarie culturale. Chi mi taccia di putinismo è il vero putinista».

Lei è un pacifista integralista?
«Sono un pacifista realista. Metto il realismo al servizio della pace, ma sono favorevole all'industria militare italiana. L'Italia deve avere un esercito potente per non finire male come l'Ucraina. Gli Stati potenti quasi mai vengono attaccati. Inoltre riconosco che esistono guerre che vanno combattute».

A quale cultura politica appartiene?
«La mia cultura politica è un mosaico di contraddizioni. Forse sono un socialista liberale ma non ho mai avuto rapporti con nessun partito politico. Sono uno studioso molto indipendente».

E in camera sua nasconde una collezione di soldatini russi...
«La mia vita privata è estremamente semplice e appartata, quasi nascosta. Vivo interamente per la famiglia». 

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