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Marc Innaro "filo-Putin"? Ecco cosa ha subito nell'ultimo mese: Rai e Pd, un caso inquietante

Pietro Senaldi
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È caduta la cortina di ferro dell'informazione Rai. Dal 30 di questo mese Marc Innaro, il corrispondente da Mosca misteriosamente silenziato dalla tv pubblica il 5 marzo scorso e messo in ferie forzate per imprecisati motivi di sicurezza, potrà riprendere le trasmissioni. Il troppo stroppia e alla fine la corda si spezza. Il tentativo del Pd di controllare in Italia l'informazione sulla guerra in Ucraina, alla stessa stregua di come Putin fa a Mosca, ha prodotto un disastroso effetto boomerang. Proprio perché il nostro, nonostante e non grazie al Partito democratico, è ancora un Paese dove in qualche modo va mantenuta una parvenza di libertà d'informazione.

 

Ieri è dunque caduto l'editto Romano, dal cognome del parlamentare del Pd (di nome fa Andrea) che ha fatto fuoco e fiamme per sospendere l'attività dell'ufficio di corrispondenza Rai di Mosca. Il (dis)onorevole (anti)democratico peraltro è lo stesso che si è dannato per far saltare il contratto che la trasmissione di Rai3, Cartabianca, aveva firmato con il professor Alessandro Orsini, l'esperto di crisi ucraina più ambito dai media, messo al bando dalla tv pubblica perché sul tema la pensa più come papa Bergoglio che come Letta (Enrico). 

NOTIZIE DA ...ROMA
I fatti. La nostra tv pubblica mantiene in Russia un ufficio di corrispondenza con due giornalisti - ma al momento della sospensione erano ben quattro- e altri sette dipendenti. Benché sia, dopo quella del Cairo, la redazione della Rai all'estero meno costosa al mondo, è comunque ragionevole supporre che il lusso ci costi dai due ai tre milioni l'anno. Ma tant' è, l'informazione è bene prezioso, per il quale val la pena pagare, specie se essa riguarda l'attività del nemico pubblico numero uno, lo zar Putin. Ebbene, dal 5 marzo, l'attività di corrispondenza è stata interrotta, una decisione delirante, un po' come se una pasticceria vendesse panettoni tutto l'anno ma sospendesse la fornitura nel mese di dicembre. 

Per oltre tre settimane quindi i telespettatori Rai, pur pagando il canone, hanno potuto avere notizie della Russia solo da Roma, Washington, Bruxelles o dal fronte di Kiev. La motivazione addotta è stata la sicurezza del personale, anche se l'85% dei dipendenti è russo e il capo della sede, il suddetto Innaro, è rimasto a Mosca tutto il tempo. In ferie forzate, di modo che non solo non potesse mandare servizi dalla Russia, ma neppure potesse collegarsi con i telegiornali e i programmi d'approfondimento Rai sulla guerra per raccontare cosa sta accadendo. La spiegazione reale si chiama censura. Innaro, napoletano figlio di una francese che ha lavorato per quarant' anni alla sede Nato di Bagnoli (ma forse era una spia del KGB mai scoperta), studia russo dal 1979, quando si iscrisse alla facoltà di Lingue Orientali, era con il presidente della Repubblica Pertini e l'eterno Andreotti il solo italiano presente ai funerali di Andropov, nel 1984, ed è corrispondente a Mosca da sette anni. In altre parole, è il giornalista più informato sulla Russia sul quale possiamo contare. 

 

LA PURGA
Ciononostante, ha dovuto subire quattro settimane di purga stalinista perché all'inizio della guerra disse che la Nato, dalla caduta del muro di Berlino, si era allargata molto e questo è sempre stato vissuto come una minaccia dalla Russia, che malgrado le difficoltà economiche si sente ancora una potenza mondiale e non vuole essere trattata come il due di picche con briscola fiori. Disse anche che forse l'Occidente, negli ultimi trent' anni, ha fatto qualche errore con Mosca, sia di gestione che di sottovalutazione strategica. Un'analisi geopolitica poi condivisa da molti, praticamente da tutti i più importanti conoscitori del mondo russo, ma che metteva in crisi la narrazione del governo e del Pd di una guerra giusta per la quale gli italiani devono essere pronti a qualsiasi sacrificio. 

Poiché i democratici nostrani, intesi come partito e non come vocazione, temono più di ogni cosa la verità e le notizie che non possono controllare, tanto bastò per trovare una scusa per chiudere la bocca a Innaro, unico corrispondente delle tv occidentali a essere sul posto senza essere abilitato a parlare. La forza del giornalista è stata quella di non cedere, di rimanere a Mosca, con una presenza che ogni giorno si è fatta sempre più imbarazzante per la Rai. Fino a che, per bulimia, ossessione del controllo, fondamentalmente stupidità e ignoranza, Romano e compagni hanno fatto il tragico errore di far saltare il contratto Rai a Orfini, altra voce libera sull'Ucraina. 

LIBERTÀ DI STAMPA
È stato troppo pure per il nostro debole sistema di libertà d'informazione. Il tappo è saltato e qualcuno in Rai deve aver deciso che ridare la parola a Innaro sarebbe stato il minore dei mali. Anche perché altrimenti, come già successo sul Covid e sui vaccini, gli italiani, che per la maggioranza nutrono forti perplessità in merito alla guerra, avrebbero iniziato a informarsi su Telegram o su altri canali social ricettacoli di menzogne e di deliri di invasati. Resta che il caso moscovita pone un problema sulla libertà d'informazione del quale dovrebbe occuparsi anche il premier Draghi, che due giorni fa ha tirato le orecchie a Putin per come tratta i giornalisti. Che in Russia non ci sia libertà di stampa è noto, ma presidente, noi teniamo di più che sia preservata in Italia, dove siamo arrivati perfino a censurare il Papa se osa criticarla sull'invio delle armi in Ucraina.

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