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Fabiola D'Aliesio, la capetta pro Putin dei Carc: "Fan delle Br, quando ci minacciava..."

 Fabiola D'Aliesio

Renato Farina
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Domenica sera da Giletti, su La7, c'è stato uno scontro tra un gruppo para brigatista chiamato Carc, rappresentato dalla dirigente nazionale Fabiola D'Aliesio, e il direttore di Libero Alessandro Sallusti. Il tema era la guerra in Ucraina. La signora era nettamente schierata con gli invasori, che sarebbero i veri portatori della pace contro il guerrafondaio occidente. Pacifisti i Carc? Una capessa del Carc che pretende di dare lezioni di democrazia? Sallusti a questo punto ha giocato sulla natura di questa strana entità: Carc (o partito dei Carc) sta per «Comitati d'appoggio alla resistenza per il comunismo». Appoggiano oggi, dopo un letargo di alcuni anni, la gloriosa "resistenza per il comunismo" rappresentata da Vladimir Putin e dai suoi missili iperbarici. E ha svelato l'altarino della signora: «Fa parte dei Carc, un'organizzazione indagata per atti violenti. Non venga qui a fare la santarellina e parlarci di pace». Sia chiaro. Non siamo oscurantisti. Chiunque ha il diritto di parola. Ma qualche volta esiste il diritto di parolaccia quando la spudoratezza arriva a glissare sul "fiume di sangue" versato dagli aggressori.

 

 

CAMPAGNA D'ODIO - Noi i Carc li conosciamo bene. Libero non aveva ancora compiuto un mese di vita, che i Carc si fecero sentire. Non dovevamo esistere, noi eravamo escrementi. La nostra colpa era stata l'aver condotto un'inchiesta sul permanere e il riorganizzarsi del terrorismo rosso. Le Brigate Rosse non erano affatto morte. La loro presenza e la loro capacità di semina ideologica e di arruolamento passava da internet. E si serviva di una serie di gruppi e gruppetti a metà tra il sostegno ideologico della rivoluzione, che non è reato, e la tentazione di dar corpo a questa "resistenza" dalla clandestinità.

Dopo due anni le nostre ricerche considerate insulse dalla concorrenza mostrarono di aver visto giusto: l'assassinio di Marco Biagi è ancora lì a gridare l'omertà colpevole dell'opinione pubblica dominante. I giornaloni in quel periodo agostano dedicavano la prima pagina a un fantomatico «Processo ai Tir» (il vero pericolo pubblico secondo Il Corriere della Sera) e ignoravano o trattavano come simpatico folclore i raduni paraterroristici di Assisi con guerriglieri colombiani a indottrinare giovanotti e ragazzette invasate dal mito delle Farce di Che Guevara.

 

I Carc si fecero vivi con me, che avevo firmato l'inchiesta, ma soprattutto con Feltri. Inviarono vignette spiritose come l'acido muriatico, in una un forbicione tagliava la lingua a Vittorio Feltri. I Carc erano già stati studiati dalla Commissione stragi, come simpatizzanti per l'ambiente della lotta armata, ci chiamò la Digos, con una certa preoccupazione, finì lì.

Essi tornarono nella nostra vita - di Libero intendo - nel 2007. Il ministro dell'Interno Giuliano Amato informò che, grazie all'inchiesta della Digos e al lavoro soprattutto di Ilda Boccassini, erano stati individuati risorgenti gruppi di Brigate Rosse, con una fisionomia diversa dal passato, non più gruppi chiusi e militarizzati, ma un coacervo di vecchi militanti e nuovi antagonisti sensibili al richiamo della foresta rossa. Ne furono arrestati 19.
Che c'entra Libero? Amato disse testualmente: «La redazione del quotidiano Libero era stata presa in seria considerazione... c'era l'intenzione di compiere, entro il prossimo aprile, un attentato incendiario con benzina e acido, da versare all'interno della sede di Libero».

È a questo punto che i Carc si erigono a portavoce dei 19 giovani brigatisti piromani. Sono la loro body gard ideologica. Diffusero perciò comunicati di geometrica impotenza dove si denunciavano «le forze della repressione» e si esigeva «la libertà per i compagni». Stilarono, raccogliendo adesioni tra gli intellettuali firmaioli, tra i quali svettavano i compianti Dario Fo con l'astrofisica Margherita Hack. un manifesto intitolato «No alla persecuzione dei comunisti!». Che è un po' la stessa tesi della signora Fabiana.

 


RIVOLUZIONARI - E che tipo di comunisti essi siano e che cosa ci si possa aspettare da loro lo si capisce leggendo i loro testi e considerano le loro azioni, almeno quelle che si intestano espressamente. È ancora lì, esposta come un giglio di purezza rivoluzionaria, la loro diffamazione impunita rintracciabile sul loro sito web, e datata 5 settembre 2017. Titolo: «Carlo Alberto Dalla Chiesa, un criminale». È il 35° anniversario del suo assassinio, e loro festeggiano la fine dell'autore dei «crimini perpetrati dallo Stato contro le Brigate Rosse. Pensava di salvarsi dai suoi padrini, come prima di lui Calvi, Sindona e molti altri. Ma ci rimise le penne». Si domandano: «Ma chi era veramente? È stato probabilmente uno dei più riusciti criminali di genio allevati da quell'apparato controrivoluzionario, di lunga tradizione ed esperienza che è l'Arma dei Carabinieri».

Nel 2020 passano all'azione, con un coraggiosissimo episodio di scrittura murale. In pieno Covid, sfidando audacemente le multe da coprifuoco, spennellano Milano con lo slogan «Fontana assassino». Putin buono, Fontana e Dalla Chiesa criminali. Il capolavoro però dei compagni di Fabiola D'Aliesio è il saggio apparso nel febbraio del 2021 dove i Carc si propongono come vendicatori dei brigatisti sconfitti. Qualche frase? Tra le tante perle le più seducenti sono queste tre. 1)«Approfittiamo delle celebrazioni del centenario della fondazione del PCd'I per ritornare su un capitolo luminoso di questa nostra storia: il tentativo di assalto al cielo degli anni '70, la pratica della lotta armata portata avanti dalle Organizzazioni Comuniste Combattenti (che vedevano le loro file composte da migliaia e migliaia di uomini e donne) e in particolare l'esperienza delle Brigate Rosse (Br)» 2) «Le Br hanno lasciato un segno profondo nella lotta di classe presente e passata e a questa molti compagni, giovani e meno giovani, guardano con ammirazione stante il ruolo principalmente positivo che esse hanno avuto nel ridare fiducia nelle possibilità di vincere e di fare la rivoluzione socialista nel nostro Paese». 3) «Le Br furono un'organizzazione rivoluzionaria realmente innovatrice: con la propaganda armata imposero che la rivoluzione socialista è anche un fatto d'armi dimostrando, per la terza volta in Italia dopo il Biennio Rosso e la Resistenza al nazifascismo, la possibilità concreta di dirigere le masse popolari nel passaggio dalla prima (la difensiva strategica) alla seconda fase (l'equilibrio strategico) della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata». Fabiola dovrebbe passare questo appunto a Putin.

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