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Martino Zanetti, "in Italia rischiamo una deriva messicana": l'allarme del presidente Hausbrandt

Pietro Senaldi
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«Alla signorina Greta vorrei dire che proteggere la natura con i paraocchi come fa lei significa ammazzare l'uomo, che si è elevato e arricchito governando l'ambiente e non sottomettendovisi. Alla signora Lagarde, che alza i tassi per contenere l'inflazione e avvia una speculazione selvaggia ai danni dell'Italia e degli altri Paesi Ue più deboli, anziché proteggerli, che poi dovrebbe essere il suo lavoro, manderei una bella lettera di licenziamento, per sostituirla con tanti banchieri centrali nazionali, come ai tempi delle vacche grasse. A Putin spiegherei che il capo della Russia dovrebbe ragionare come uno statista e non come un poliziotto, che tira fuori la pistola per cercare di risolvere quella che pensava fosse una bega di quartiere e rischia di scatenare una guerra mondiale. Ai giovani, da vecchio ufficiale degli alpini, ricorderei il nostro motto, "Boia chi molla". Devono avere coraggio, farsi il mazzo e non arretrare mai, non devono lasciare il Paese e prima o poi ce la faranno. E ai nostri politici? Ne avrei tante di cose da dire, ma non ne vedo neppure uno in giro, e quindi parlo a lei che almeno è giornalista. Un imprenditore deve parlare, fa parte del suo senso civico».

Ma davvero non le piace nessun politico?
«Non vedo politica in Italia, non mi faccia parlare di qualcosa che non esiste».

Ieri hanno votato nove milioni di italiani...
«Il voto locale ha un senso, conosci chi mandi al potere. Su scala nazionale invece non si capisce un accidente. I leader di partito rispondono solo alla logica del momento, sono come una barca in balia delle onde».

 

 

A Treviso tutti per Zaia...
«Lo conosco bene, ma per me è troppo estremista, certe sue affermazioni mi sembrano azzardate».

È nostalgico di Berlusconi?
«È simpatico. Almeno è un imprenditore e sa come si gestiscono le cose. Uno più uno fa due, il chicco di caffè lo devi pagare e rivendere. Le casalinghe di economia ne sanno più dei politici».

Le sta simpatico qualcun altro?
«Renzi, l'ultimo grande attore della commedia italiana dopo Alberto Sordi, pronto a carambolare a destra e a manca. Ma intendiamoci, la politica è altro, non è affare per capocomici».

Ma per comici sì...
«Grillo? Troppo imprevedibile, al netto della debolezza della sua rappresentanza».

Qualcosa mi dice che Salvini...
«Il populismo non porta lontano. E poi, se sei al governo ma lo fai saltare, io non ti rivoto. Serve coerenza».

Ho capito, le piace la Meloni...
«Mi sembra in gamba e acuta, una che sa mettere le persone alla frusta. A me piacciono le donne che sanno far filare le cose, meglio lasciarsi vincere da loro. Se poi sono anche belle... Francamente però, se si votasse domani, non saprei chi scegliere. Il test da superare è quello dell'imprevedibilità, perché le aziende hanno bisogno di certezze per potere lavorare e rendere ricco il Paese».

Dal castello longobardo costruito da Rambaldo 1.200 anni fa, tra Susegana e Pieve di Soligo, dimora dell'unico discendente maschio dell'uomo che tradì e consegnò queste terre a Carlo Magno, in un luogo incantato, si può anche avere una vista del Paese più reale rispetto a chi la gira in lungo in largo tutti i giorni, o la governa dal suo ombelico politico, a Roma, o finanziario, a Bruxelles. «I finanzieri di economia non capiscono nulla e così i politici; perché non hanno mai fatto impresa» sentenzia Martino Zanetti, classe 1944, nato a Treviso sotto un bombardamento angloamericano, pittore e a tempo guadagnato grande imprenditore, proprietario di Hausbrandt, il marchio del caffè che quest'anno compie 130 anni e, con Generali, fu il primo socio di Confindustria in Italia. «Farò una grande bicchierata, a ottobre» annuncia Martino, «ma prima voglio organizzare un convegno al castello, sulle influenze del Palladio e dei ritmi mariani del Monteverdi nella tragedia shakesperiana. Avrò accademici di prim' ordine. Possiedo testi di Daniele Barbaro e di Leon Battista Alberti che voglio far studiare. Noi dilettanti mangiamo come i cavalli, piluccando da ciuffo a ciuffo, mentre gli studiosi brucano come le pecore, per questo talvolta siamo noi a poter scoprire qualcosa».

 

 

Il super pronipote di Rambaldo salta di palo in frasca, ma la sua storia dice che è solito azzeccarla. D'altronde stregoni e maghe non sono i soli capaci di leggere il futuro tra i chicchi di caffè. «Mio padre Virginio andò a lavorare a 14 anni, perché il fascismo espropriò il nostro palazzetto di famiglia, a Treviso, e a 29 comprò la villa del suo datore di lavoro. Quando Mussolini annunciò l'entrata in guerra era in un bar di Venezia. Si mise le mani nei capelli e urlò, "siamo rovinati". Gli andò bene, rimediò solo due ceffoni. Non si perse d'animo e si fiondò al mercato delle aringhe, per farne incetta e affittò tutti i frigoriferi disponibili per conservarle. Il giorno dopo il prezzo era raddoppiato. Da lui ho preso l'intuizione e la rapidità d'azione, che come recita anche il film Amici miei, di Mario Monicelli, sono qualità del genio. Hausbrandt l'ho pagata 19 miliardi. Era un marchio bello, ponderoso, apparteneva a una famiglia seria e l'ho comprata a occhi chiusi. In poco tempo valeva già cinque volte di più. Il caffè italiano è di nicchia, siamo noi, Lavazza, Segafredo e Illy, ma non ha eguali. Io lo compro, lo tosto e lo rispedisco in tutto il mondo».

Ma almeno il caffè le piace?
«Certo, la mia giornata inizia alle 4.30 del mattino, con tre caffè. Poi ne prendo altri quattro durante il giorno, ma non fino ad arrivare alla tachicardia».

E la notte dorme?
«Se lo bevi a stomaco vuoto, il caffè concilia il sonno».

Dorme anche con le Borse che vanno a picco e l'inflazione a un livello che non si vedeva dal 1981?
«Ma io quando ho soldi non investo nella finanza, perché significherebbe far guidare ad altri la mia macchina. Invece se metto la benzina voglio decidere io dove vado».

Per l'Italia si annunciano tempi difficili?
«Siamo simili al Messico, come periodo storico, dove per trent'anni non hanno votato. Ma confido che l'epilogo sarà diverso».

Qual è il nostro male?
«Quando ho iniziato io bastavano sei mesi per aprire un'azienda, dall'idea all'ingresso nel mercato. Ricordo che chiesi i permessi poco prima di Natale e al ritorno dal periodo di vacanze già mi avevano rilasciato tutti i via libera. Oggi sono necessari tre anni. Il Paese è in uno stato di paralisi. La magistratura ieri se l'è cavata, il referendum non ha raggiunto i voti necessari alla riforma. Io non credo che i giudici facciano il contrario del loro dovere, ma certo il rallentamento che la giustizia provoca all'Italia non mi sfugge».

Il male è quindi la burocrazia?
«Ci mette del suo. Ma il guaio è che l'Italia è senza politici e senza moneta, quindi non può andare lontano».

Dei politici si è detto, ma la moneta ci sarebbe...
«Non è la nostra».

Con il debito che l'Italia ha, se tornasse la lira avremmo una svalutazione drammatica, i risparmiatori si impoverirebbero e falliremmo in pochi giorni...
«A parte che i risparmiatori si stanno già impoverendo, è falso. La moneta è un numero, un accordo, nient' altro. Io penso che l'euro sia una cambiale a debito: guadagni, metti in banca e aumenti il debito. Se avessimo una classe politica, in una notte si potrebbe rigirare tutto grazie alla moneta e in sei mesi triplicheremmo il denaro disponibile. Ci mancano visione positiva e coraggio».

Al giorno d'oggi la sua visione è ritenuta eretica...
«Provengo da una stirpe di piantagrane. A chi mi accusa di capire poco di politica monetaria replico che nel 1989, quando crollò il Muro di Berlino, guadagnai dodici miliardi in un'ora speculando sul dollaro. Poi perbacco, tutti maestri si intende...».

A lei della narrazione attuale dell'economia non va proprio giù nulla...
«Vedo nell'attuale frenesia ambientalista, che rischia di portarci allo sfascio perché non è programmata né studiata seriamente, ma è solo ideologia isterica, la stessa ansia suicida che in una notte ha creato una valuta negativa per l'Italia. In natura, e in economia, il primo animale da proteggere è l'uomo. Io sto con Pico della Mirandola, gli altri stiano pure con Greta. Quanto a materia grigia, c'è poco da fare paragoni tra i due».

C'è poca competenza nella politica e nella finanza?
«Lei è ottimista. Secondo me, sono perfettamente consci dei danni che fanno».

 

 

Ma davvero basterebbe avere una visione positiva per cambiare le cose?
«La situazione economica globale è disastrosa perché l'economia si basa sulla visione di Malthus, l'idea che tutto si fondi sulla lotta dell'essere umano per la sopravvivenza. La visione negativa che permea la comunità economica spinge alla regressione, si finisce in un gorgo e questo ritorno all'austerità prefigurato dalla Banca Centrale Europea non preannuncia nulla di buono».

L'Occidente è al tramonto?
«Spero di no, ma bisogna metterci in testa che non è igienico farsi la guerra in Europa. Per me l'Europa deve partire dall'Atlantico e arrivare fino a Vladivostok. Mi pare che lo dicesse anche Berlusconi, qualche anno fa. La crisi ucraina è un retaggio della vecchia politica».

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