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Monsignor Zenti dice la sua? Che fine gli fa fare la sinistra: vergogna a Verona

Serenella Bettin
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«Ma che bel castello marcondirondirondello, ma che bel castello marcondirondirondà». «Il mio è ancora più bello marcondirondirondello, il mio è ancor più bello mancondirondirondà». Ad ascoltare le prese di posizione di monsignor Gian Carlo Perego, che nella Cei è il presidente della Commissione episcopale che si occupa delle politiche migratorie, viene in mente questa filastrocca. Una volta erano i politici a giocare a ping pong con i temi da portare sul tavolo per accaparrarsi il consenso. «Noi abbiamo fatto questo». «Noi questo' altro». «Il nostro è più bello». «Noi lo bruceremo» e bla bla. Adesso è la Cei, niente meno che la Conferenza Episcopale Italiana, a schierarsi con lo Ius scholae e attaccare indirettamente la Lega. Non si capisce perché la Chiesa possa tifare lo Ius scholae e nessuno dice niente e invece se il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, dice «no all'ideologia gender», scoppia il caso. «Gravissima ingerenza», aveva tuonato Carlo Calenda. E infatti, guarda caso, il 75enne Zenti è stato "licenziato" per le posizioni espresse e al suo posto a Verona è arrivato monsignor Domenico Pompili dalla diocesi di Rieti.

 

 


VIOLENZE E BABY GANG
Ma la Chiesa da quando può interferire sulle scelte della politica? Dettando la lista delle cose da fare stabilendo una priorità. La Cei osserva: «Non esiste solo il caro bollette», «contrapporre il caro bollette non ha senso». Un po' come le campagne elettorali comunali dove i candidati si affannano per trovare il tema giusto. Ma bisognerebbe fare un giro tra le famiglie, che non arrivano a fine mese, per vedere se il caro bollette pesa più o meno dello Ius scholae. Bisognerebbe andare a Jesolo, splendida località balneare veneta, a vedere i baby immigrati che ogni fine settimana ne combinano di tutti i colori per vedere se la gente è tranquilla. Risse, accoltellamenti, violenza, fiumi di alcol e strisce di coca. «La riforma della cittadinanza con lo Ius scholae», ha detto Perego, «va incontro alla realtà di un Paese che sta cambiando. Spero che le ragioni e la realtà prevalgano rispetto ai dibattiti ideologici per il bene non solo di chi aspetta questa legge ma anche dell'Italia che è uno dei Paesi più vecchi». E quindi che dobbiamo fare? Ci svecchiamo dando la cittadinanza a tutti? La proposta di legge dello Ius scholae, il cui dibattito alla Camera è slittato di una settimana, prevede che possano richiedere la cittadinanza italiana prima dei 18 anni coloro che siano giunti in Italia entro i 12 anni, vi abbiano risieduto legalmente e senza interruzioni e abbiano completato un ciclo scolastico di almeno 5 anni.

 

 


«Una follia», aveva detto il leader della Lega Matteo Salvini, perché farebbe avere la cittadinanza «a tutti i delinquenti delle baby-gang» mentre «i ragazzi stranieri a scuola vengono già oggi garantiti». Ma per monsignor Perego non si tratta di «mettere in contrapposizione lo Ius scholae allo Ius sanguinis. Ma di tutelare e riconoscere una presenza e una risorsa importante sul piano scolastico e lavorativo, per costruire il futuro del Paese. Se le persone non partecipano alla vita delle città, se non vengono riconosciuti cittadini, rischiano di non sentirsi parte del Paese». Ma infatti. Tra i tanti baby immigrati ci sono anche quelli nati in Italia.

 

 


ALTRE PRIORITÀ
Secondo alcuni esponenti politici ci sarebbero altre priorità nel Paese in questo momento. La cannabis e lo Ius scholae, temi tanto cari alla sinistra, hanno aspettato tanti anni, possono continuare a farlo. Secondo il leghista Vito Comencini questi «sono temi che non rappresentano assolutamente delle priorità. Andrebbero tolti in modo definitivo dal calendario dell'aula. Il vero problema in questo momento per molte famiglie è quello di arrivare a fine mese, per colpa di stipendi bassi e bollette troppo alte». «Non ha senso affermare che ora ci sono altre emergenze», dice Perego, «perché questo tema non esiste da oggi ma da anni, almeno 15. Ora spetta alla politica fare uno scatto e uscire dalla ideologia». A dar man forte alla Cei ci pensa il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Vincenzo Spadafora, a margine del Pride a Milano: «C'è spazio per approvare sia il ddl Zan che lo ius scholae». Non esiste, dice Isabella Rauti (FdI): «La politica è una questione di priorità. Il governo spinge per la cittadinanza facile agli immigrati e la droga libera. Fratelli d'Italia vuole che il Parlamento si occupi di crisi economica energetica e delle difficoltà di famiglie ed imprese italiane». Più morbido il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani: «Siamo favorevoli al principio ma deve esserci un percorso di formazione per il giovane straniero. Cinque anni non bastano». E nel partito scoppia il caso Polverini. Luigi Di Maio invece, spera nel compromesso. Amen. 

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