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Alessandra Ghisleri, il crollo di Mario Draghi: "Quanti punti ha perso"

Alessandra Ghisleri

Fausto Carioti
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Il voto ai tempi della guerra e dell'inflazione può ribaltare certezze. «Siamo in una situazione complicata e questo rende tutto complesso, incluso fare campagna elettorale», avverte Alessandra Ghisleri, fondatrice di Euromedia Research, sondaggista ascoltata da tutti i leader. «Ogni partito ha difficoltà a indicare obiettivi identitari, che lo contraddistinguano e siano allo stesso tempo facilmente raggiungibili e di aiuto alla popolazione».

Perché parla di «aiuto», dottoressa Ghisleri? Cosa chiedono oggi gli italiani ai partiti e al governo?
«Alla politica gli italiani chiedono di essere aiutati a superare le loro difficoltà, che in questa fase sono principalmente economiche. L'inflazione è alta e gli elettori sono consapevoli che il loro potere d'acquisto è sceso di molto, e allora lo stipendio torna a essere un tema importante. Una media tra il 60 e il 63% si dichiara pessimista di fronte al futuro a breve, a ciò che li attende in autunno. La paura è che le entrate - per i fortunati che ne hanno - siano inferiori alle spese, e quindi il saldo sia in rosso. I meno fortunati non possono pianificare un miglioramento della loro condizione».

Il peggioramento della situazione economica ha cambiato l'atteggiamento nei confronti del governo?
«Dopo un anno e mezzo di governo, Mario Draghi, insieme a Sergio Mattarella, precede tutti gli altri detentori di ruoli politici nella classifica della fiducia. Ovviamente l'incarico istituzionale aiuta. Certo, quando ha varato il governo, Draghi aveva un indice di fiducia superiore al 60%, e ora viaggia intorno al 48%».

 

 

Che è comunque tanto, in una situazione così difficile.
«La fiducia di un italiano su due è un dato molto alto. D'altro canto la fiducia nei confronti del governo nel suo complesso viaggia parallelamente a quella di Draghi, ma 10 punti percentuali più sotto, intorno al 40%: un dato buono, proprio perché siamo in un periodo così complicato. Nell'aprile del 2022 ha toccato anche punte del 50%, mentre Draghi stava al 55%. Pesano, come è inevitabile, le posizioni degli elettori dei partiti meno legati alla figura di Draghi».

Come Fratelli d'Italia.
«Non essendo al governo, la percentuale di elettori di Fdi che si fida del presidente del consiglio è minoritaria: tra loro l'indice di fiducia per Draghi è pari al 35%. Lo stesso, però, avviene tra gli elettori del Movimento Cinque Stelle, dove solo un elettore su tre dà fiducia a Draghi. Prima, quando Draghi stava in Europa ed era una figura super partes, anche tra loro riscuoteva un'alta approvazione. Ma quando è arrivato alla guida del Paese al posto di Giuseppe Conte, rappresentante del M5S, la situazione si è complicata».

Gli elettori della Lega come vedono il premier?
«È un altro dato molto interessante: tra loro l'indice di fiducia nei confronti di Draghi è pari al 40%. Non a caso, M5S e Lega sono i due partiti che più sentono le fibrillazioni causate dallo stare al governo, e si chiedono se convenga restarci o no».

Per fare un raffronto: gli elettori del Pd che pensano del premier?
«Tra loro l'indice di fiducia nei confronti di Draghi è pari all'85%. Negli elettori di Forza Italia è intorno al 55%-58%. Sono differenze importanti, che aiutano a capire molte delle tensioni che stiamo vedendo».

Che impatto ha avuto la scissione di Luigi Di Maio sui Cinque Stelle?
«Nei nostri sondaggi oggi i Cinque Stelle si collocano intorno all'11%. Ma il punto vero è che, su ogni scelta che Conte è chiamato a prendere nei confronti del governo, il suo elettorato è diviso a metà, tra favorevoli e contrari. Lui ha quindi il problema di cosa fare e di come indirizzare la comunicazione, di quali messaggi mandare agli elettori. Il suo partito è nato essendo trasversale a tutte le forze politiche, ma col tempo si è ancorato ai temi cari al centrosinistra. Il risultato è che nel Movimento matrici integraliste convivono ancora con matrici più moderate, e Conte deve riuscire a trovare un collante che le tenga tutte insieme e che parta da lui».

Pare intenzionato a uscire dalla maggioranza ed imboccare la strada del ritorno alle origini, quando il M5S era un movimento di protesta. Ma chi è stato a Palazzo Chigi e ha fatto il premier, può essere un capopopolo credibile?
«Conte, anche nel modo in cui parla e si pone nelle sue esternazioni pubbliche, mi sembra che abbia ancora l'anima dell'uomo delle istituzioni. I politici, però, hanno il problema di dover essere eletti, e Conte, sinora, è stato eletto solo dalla piattaforma dei Cinque Stelle. Non ha mai partecipato a una vera competizione elettorale, e immedesimarsi nei propri sostenitori è difficile per chi non li conosce da vicino».

Al contrario di Alessandro Di Battista, insomma.
«Di Battista, pur essendo attualmente esterno al M5S, rappresenta l'uomo delle origini del Movimento. Conte, invece, incarna la mutazione che i Cinque Stelle hanno percorso dal 2018 a oggi, da forza dell'opposizione a forza di governo. Sono stati al governo prima con la Lega, poi col Pd e adesso in un esecutivo istituzionale: tre strade che il movimento delle origini avrebbe rinnegato. In più, l'ex presidente del Consiglio Conte ha la difficoltà di combattere con una figura carismatica come quella di Beppe Grillo, che in molte occasioni è stato il suo primo detrattore, anche con espressioni feroci».

Dicevamo del partito di Di Maio: quanti voti può levare a Conte?
«Molti di coloro che nel 2018 hanno votato per il M5S adesso sono nella vasta area dell'astensionismo, da dove guardano con attenzione tutti gli spin-off del Movimento: Alternativa, Italexit di Gianluigi Paragone, e ora, appunto, la nuova formazione di Di Maio. Dal punto di vista delle intenzioni di voto, questa non è ancora giudicabile: non ha una forma, un programma, un posizionamento e messaggi definiti, e dunque è impossibile misurare il suo potenziale. Di sicuro, però, tra quegli elettori c'è chi la guarda con interesse».

 



 

Come reagiscono gli italiani di centrodestra dinanzi agli scontri e alle divergenze tra i leader dell'alleanza? Anche loro tentati dall'astensione?
«Ogni lite tra i partiti di una coalizione, o all'interno dei partiti stessi, genera difficoltà di comprensione. In questo momento dentro alla Lega c'è un dibattito aperto, al quale gli elettori sono molto attenti. C'è una competizione forte col partito di Giorgia Meloni, che essendo all'opposizione può permettersi di non fare compromessi e continuare a mostrarsi coerente con i suoi messaggi. Questa competizione porta determinati elettori della Lega a rifugiarsi nell'astensione e altri a guardare con interesse Fratelli d'Italia, che dopo la convention fatta a Milano e i risultati delle elezioni amministrative si dimostra ben competitiva anche al Nord. Pure chi si muove tra questi due partiti sembra avvantaggiarsi della situazione: Forza Italia è cresciuta di qualche punto percentuale».

Il ritorno del partito di Silvio Berlusconi ai risultati a due cifre è possibile?
«Al momento, nelle nostre rilevazioni, Forza Italia ha l'8,3% delle intenzioni di voto, però potrebbe muoversi in quella direzione. Non mi stupirei. Il terreno elettorale è molto flessibile e malleabile».

Se il terreno è così morbido, quanto è solida la maggioranza di voti di cui dispone il centrodestra, e dunque la possibilità di una sua vittoria alle elezioni politiche?
«Se si votasse oggi, la possibilità di vittoria del centrodestra sarebbe solida, perché la somma algebrica dei voti dei partiti che lo compongono garantisce la conquista della maggioranza dei seggi in Parlamento, anche grazie alla scissione di Di Maio dai Cinque Stelle. Col sistema elettorale attuale, Fdi, Lega e Forza Italia avrebbero 206 seggi (su 400) alla Camera e 103 (su 200) al Senato. Ripeto: se si votasse oggi».

È importante la data in cui si andrà ai seggi?
«Molto. Una cosa sarebbe votare a marzo, un'altra farlo a maggio. Prima si vota, più sono avvantaggiati i partiti già formati, solidi, perché meno opportunità hanno le nuove formazioni di farsi conoscere e aggregarsi. Abbiamo visto quanto è stata bassa la partecipazione al voto nelle amministrative, a cavallo tra il ponte del 2 giugno e la chiusura delle scuole, nonostante le elezioni comunali abbiano sempre avuto un grande appeal sull'elettorato. C'è un motivo, insomma, se la data delle Politiche già sta mettendo in agitazione tutti i partiti». 

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